domenica 10 agosto 2014

Ultima lettura: "Dove comincia la notte" di Alessio Viola


Dove comincia la notte

Autore: Viola Alessio
Dati: 2013, 338 p., rilegato
Editore: Rizzoli (collana La scala noir)

È l’ambiente che fa la malavita

Ho finito questo romanzo nella notte, precisamente dove finiva la mia notte.
Impossibile staccarmene finché non avessi saputo che fine avrebbe fatto il sovrintendente Roberto De Angelis, poliziotto di lungo corso, di esperienza, bravo a tal punto da muoversi al limite della legalità, anzi spesso superando il limite della legalità, pur di portare a casa il risultato e molto somigliando in questo al vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini (qui e qui)e al commissario Bordelli di Marco Vichi (qui).
Pochi ingredienti fanno di questo romanzo, che si basa su vicende realmente accadute negli anni Novanta a Bari, opportunamente adattate alla finzione narrativa, un noir indimenticabile: la fotografia di quella realtà malavitosa e abbrutita è realistica, quasi cronachistica. C’è Bari, c’è la lotta per il predominio in città della nuova malavita organizzata, c’è un poliziotto che indaga con mezzi non precisamente ortodossi, c’è una strana amicizia tra persone che non potrebbero essere più lontane e diverse, c’è un amore senza speranza che forse non è nemmeno amore, c’è il degrado di un mondo oscuro.
Photo HelenTambo on Instagram
Soprattutto c’è la città. A Bari mi lega un affetto speciale, che mi fa riconoscere luoghi e odori e scorci e sguardi e sapori: sensazioni che si rinnovano ogni volta che ci capito, anche solo di passaggio, e che ritrovo quando leggo un romanzo che ne parla, senza volerne fare un ritratto stereotipato e idilliaco da cartolina, come anche in "Prima che tu mi tradisca"di Antonella Lattanzi e in molti pezzi che Rita Lopez pubblica nel suo blog.
In questo romanzo di Alessio Viola, Bari sa essere brutta, sporca e cattiva, ma anche bellissima, struggente, malinconica. La descrizione dei luoghi, dal quartiere Libertà dove vive il protagonista, a Poggiofelice, residence periferico, roccaforte del clan all’interno del quale opera lo spacciatore –poi killer spietato- Giacinto Trentadue, da Barivecchia al quartiere Murat, contribuisce a tracciare una geografia che è soprattutto dell’anima. Oltre il luogo c’è la storia, una di quelle che ti prende in crescendo, ti avvolge nelle sue spire fino a toglierti il fiato, portandoti alle ultimissime pagine e concludendosi in modo del tutto inaspettato: tutto ciò che temi che sia scontato, il limite oltre il quale il poliziotto De Angelis si spinge, si risolve in modo sorprendente. Quello che si chiede a uno scrittore è proprio questo: la capacità di acchiapparti fino all’ultima parola, di accompagnarti in un viaggio, ovunque e altrove, che sia immersivo, dove puoi camminare al fianco dei protagonisti, vederli, sentirli.
La prosa di Viola, editorialista del “Corriere del Mezzogiorno” con un passato di operaio, insegnante e rugbista, è asciutta e veloce. I dialoghi sono serrati, emerge prepotente il dialetto (se lo conosci ne senti l’intonazione, la cadenza, se non lo conosci non ci sono comunque problemi a comprenderlo), i modi di dire, le espressioni idiomatiche che fanno tutt’uno con le espressioni del volto di chi le pronuncia, e tu lettore le vedi, tu vedi tutto.




 Faccio solo un piccolo appunto su quella che immagino sia una mera svista in sede di editing: a p. 284 leggo “Le strade erano come stratificazioni minerali, una dopo l’altra gli ricordavano le cose che aveva studiato al liceo”, mentre due pagine dopo trovo “Ma al momento di scegliere la scuola superiore si era fatto convincere dagli amici a preferire un istituto per ragionieri” (p. 286). Insomma, non si capisce che scuola De Angelis abbia frequentato ai tempi, ma appunto ciò non toglie sostanza e significato alle stesse pagine, disorienta il lettore ma non più di tanto.


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