martedì 27 giugno 2017

"Il mistero di Paradise Road" di Pietro De Angelis

Vi siete mai domandati, signori, quando comincia una storia? 
[…] 
Ci ho riflettuto a lungo, signori, e ormai posso dirvi con certezza che questa storia, la storia di come Lionel Morpher si è trasformato in un assassino, 
comincia esattamente quattro mesi prima della strage di Paradise Road. 
Il 12 settembre 1874. 
Un lunedì. 

Questo è un giallo atipico, o almeno sfugge dal canone che vuole l’assassino scoperto solo alla fine, dopo che il lettore è stato aiutato a fare le sue congetture, sulla base di indizi che -nei casi meglio riusciti e meno prevedibili- in conclusione risultano fuorvianti. 
Qui viceversa il nome dell’assassino viene reso noto subito, fin dalle prime pagine del romanzo, quindi quello che spontaneamente ci si chiede è in cosa consista il mistero di Paradise Road. 
In un quartiere residenziale della Londra vittoriana, si consuma il dramma della follia di un uomo comune, schiacciato tra metodico stile di vita e imprevisti della natura umana, e l’arcano di dodici morti che avvengono contemporaneamente in un'alba fredda e nebbiosa, anticipatrice di forti cambiamenti nell'esistenza di Lionel Morpher, il protagonista. 
In realtà quindi non è tanto scoprire chi è l’assassino, ma capire come sia potuto succedere che dodici persone, tra uomini, donne e bambini, siano morte contemporaneamente una fredda mattina d’inverno, senza presentare visibili segni di violenza, ma tutti con le mani strette intorno alla gola e gli occhi fuori dalle orbite, come se fossero stati tutti presi da un colpo apoplettico, e come di queste morti si possa accusare una sola persona. 
La ricostruzione degli avvenimenti che portano Lionel Morpher a diventare maniaco cronico dall’impiegato modello dell’Ufficio Brevetti di Londra che era, viene fatta nel corso di trascrizioni fonografiche raccolte in quattro sedute, circa dieci anni dopo i fatti, presso l’Asylum dove l’uomo era stato rinchiuso dopo i fatti di cui si era reso responsabile e dove muore per arresto cardiaco. 
La vita di Morpher e di sua moglie Alphonsine, giovane istitutrice che rinchiude la sua esistenza nelle mura della graziosa villetta a schiera di Paradise Road, completamente soggiogata dal marito, è passata al setaccio nei quattro mesi che precedono la strage, a partire dal giorno in cui l’uomo accetta una promozione sul lavoro e decide che è arrivato il momento di fare un figlio. 
Lionel è ossessivamente sistematico, in tutti gli aspetti della vita, compreso quello coniugale e più strettamente sessuale, dove tutto è programmato al minimo dettaglio per potersi realizzare socialmente e dove la nascita di un figlio non potrebbe che coronare un’esistenza perfetta; Alphonsine, remissiva e silenziosa, sembra incarnare l’ideale di moglie devota e sottomessa, mentre continua a coltivare la passione per la poesia che ha fin da quando viveva nella casa della zia paterna Miss Lucinda Crowne, apprezzata istitutrice in pensione che si era fatta carico dell’educazione della ragazza. 
I sogni e i desideri repressi della giovane, uniti al malinconico trasporto per i sonetti di Keats e all’amore per un uomo misterioso, sono la chiave di volta per comprendere il delirio di Lionel, che cerca di “guarire” la moglie da queste distrazioni che la allontanano dai suoi doveri. 
Il mezzo saranno le rivelazioni scientifiche a cui lo inizia il direttore dell’Ufficio Brevetti, Mr. Woodcroft, coinvolgendo Lionel nell’ambizioso progetto di recuperare le scoperte e gli apparecchi inventati da James Watt, matematico e ingegnere scozzese, inventore della macchina a vapore, vissuto nel Settecento. Quale sia il nesso tra i due elementi, la “guarigione” dalla malinconia di Alphonsine e le invenzioni di Watt, è alla base della soluzione del mistero, per cui lascio al lettore il piacere di scoprirlo. 
Pietro De Angelis ricostruisce ambienti e situazioni con dovizia di particolari, riuscendo a far vivere al lettore una precisa atmosfera che richiama alcuni grandi autori come Stevenson, Mary Shelley e Wilde, che però appartengono a un’epoca ben lontana da questa in cui scrive l’Autore. 
Entrare e rendere con tanta precisione l’età vittoriana in cui si svolge la storia, in una narrazione che si snoda puntuale e che forse risente di qualche lentezza, è frutto di una documentazione storica rigorosa che De Angelis non omette di esplicitare nella nota finale al volume: molte e variegate sono state le fonti a cui ha attinto, dai classici saggi sullo stile di vita nell’Inghilterra tardo ottocentesca ai siti web che documentano l’epoca dominata dalla figura della regina Vittoria, dalle ricostruzioni storiche dell’attività dell’Ufficio Brevetti di Londra ai saggi sulla poesia che lo hanno aiutato a chiarire il dibattito culturale che nel momento storico in cui è ambientato il romanzo vedeva contrapposte poesia e prosa. 
Il tempo che Pietro De Angelis ha impiegato per scrivere questo romanzo, dalla prima idea alla pubblicazione, è di quasi dieci anni: segno evidente di un impegno e di una convinzione che lo hanno sostenuto in un’impresa non semplice. 


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Il mistero di Paradise Road 
Autore: Pietro De Angelis 
Dati: 2016, 313 p., brossura; 
Editore: Eliot (collana Scatti); 
Prezzo: € 17,50 
Giudizio su Goodreads: 3 stelle

lunedì 12 giugno 2017

"Pastorale americana" di Philip Roth

Riattaccò sopra la scrivania il ritratto senza vetro di Conte e poi, 
come se ascoltare persone che ciarlavano di questo o di quello 
fosse il compito assegnatoli dalle forze del destino, 
lasciò l’inferno in cui si era avventurato 
per tornare alla solida e metodica buffonata della cena. 
Era tutto ciò che gli restava per non perdere il controllo: una cena. 
L’unica cosa cui poteva aggrapparsi 
mentre la grande impresa che era stata la sua vita 
continuava a sfrecciare verso la distruzione: una cena. 
E alla terrazza illuminata dalle candele fece doverosamente ritorno, 
sempre portando con sé tutto ciò che non riusciva a capire. 

Per IBS, questo è il romanzo più venduto di Philip Roth, seguito da "Lamento di Portnoy" e “La macchia umana”: non so se questo è vero, di sicuro credo che sia arrivato il tempo di riprendere “La macchia umana”, interrotto non ricordo per quale motivo anni fa, forse solo perché facevo fatica a leggerlo. 
Quel che ho capito, anche da quest’ultima lettura, è che leggere Roth non è proprio una passeggiata di salute e forse è in questo che risiede la resistenza ad affrontarne anche i titoli più celebrati. So anche però che leggere Roth è esperienza fortemente coinvolgente, che costringe a fare i conti con il proprio modo di vivere alcune situazioni emotive, che non hanno nulla di eccezionale perché magari sono comuni, ma che nel modo in cui sono descritte e narrate diventano uniche e riconoscibili come nostre. 
Insomma, credo che leggere certi romanzi, ad esempio questo, getti una luce sulla vita -sulla propria e su quella degli altri- che poi costringe a riflettere su alcuni temi in particolare: qui direi, sul senso del dovere e sull’essenza dell’amore paterno. 
Questo romanzo, pubblicato nel 1997 (in Italia, da Einaudi nei Supercoralli, l’anno successivo) è il primo della cosiddetta trilogia di Nathan Zuckerman, il narratore alter ego di Roth, che apparirà anche in “Ho sposato un comunista” (1998) e nel già citato “La macchia umana” (2000). 
Il protagonista è Seymour Levov, detto lo Svedese, uomo apparentemente incrollabile, la cui vita perfetta fatta di successo nel lavoro, bellezza, ricchezza, virtù e amore, si sgretola davanti al disastro causato dalla sedicenne figlia Merry, grassottella e balbuziente, che mette una bomba nell’ufficio postale di Newark, avendo sposato la causa di un’associazione terroristica di estrema sinistra, negli anni in cui gli Stati Uniti sono impegnati nella guerra del Vietnam. L’attentato dinamitardo compiuto da Merry diventa la cerniera che divide il tempo dello Svedese e di sua moglie Dawn, ex reginetta di bellezza del New Jersey, perché dopo la bomba e la fuga della ragazza, nulla sarà più come prima e da quel momento in poi sarà un susseguirsi di “dopo”. 
L’attività imprenditoriale di Seymour, la produzione di guanti in pelle della Newark Maid, piccola fabbrica in rapida espansione fondata da suo padre, è la metafora della perfezione e del dovere, del sentimento di responsabilità: ogni piccolo dettaglio di un guanto, dal tipo di pellame scelto, dal taglio dei pezzi e dalle sfumature di colore che devono armonizzarsi, da ogni minima cucitura, dalla misura e dalla morbidezza, rappresenta un tassello imprescindibile che porta alla massima realizzazione nel lavoro, come nella vita. Nessuna imperfezione è concessa, ogni coppia di guanti è un gioiello di accuratezza, l’aspirazione agli obiettivi più alti è il faro che guida ogni azione dello Svedese, intriso di senso del dovere fino al midollo, “naturalmente rispettoso”, che precipita nell’abisso del dolore più cupo lì, dove l’azione criminale di Merry incontra il suo amore incondizionato. Tutto il romanzo ruota sulle domande che lo Svedese si fa, sul tentativo di comprendere cosa sia successo a Merry, e quindi alla loro famiglia, con dolore e con rabbia. Dietro la vita perfetta di Seymour si accumulano scorie: la figlia “imperfetta”, ma anche -e forse proprio per questo- amatissima, così diversa dai suoi bellissimi e seducenti genitori, e gli inciampi della vita che portano Dawn, così tenace e capace di tenere testa a quello che sarebbe diventato suo suocero (che aveva contrastato la relazione tra suo figlio e quella ragazza cattolica che “non era mai stata così testarda come quando voleva far dimenticare il suo ruolo di ex regina di bellezza” e si era poi messa in testa di allevare mucche e tori), a scegliersi un amante che è l’opposto del suo affascinante marito. Succede anche a lui, a Seymour di prendersi un’amante, e sarà anche questa faccenda una macchia che si andrà ad aggiungere al resto delle disfatte e che però non intaccherà la forza del suo desiderio di essere coppia ancora con Dawn, nonostante tutto e perché per lui la vita senza di lei è inconcepibile. 
L’altro grande tema che io vedo in “Pastorale americana” è quello dell’amore paterno, che per me resta un mistero. Riferendomi alla genitorialità naturale, non adottiva, mi sono sempre chiesta di cosa è fatto l’amore di un padre; se è quasi scontato capire di cosa è fatto fisicamente, visceralmente, quello di una madre che ha portato in grembo un figlio e quindi lo sente per legge di natura parte della propria carne, in cosa si sostanzia quello di un padre? Di cosa è fatto, come un uomo riconosce un figlio, a parte le possibili somiglianze? Roth, attraverso la figura di Seymour Levov si avvicina a farlo capire: lo Svedese sente che Merry ha bisogno di lui, soprattutto nella latitanza, la vuole riportare a casa, forse più di quanto lo desideri sua moglie Dawn e in questo risiede la straordinaria figura di padre che ha fallito, pur amando la propria figlia alla disperazione e sentendola parte di sé. 
Ho trovato questo romanzo molto toccante, ho sofferto per quella richiesta di perfezione che la vita rivolge a Seymour, per il quale mi sono commossa, riconoscendo i limiti imposti dalle convenzioni sociali, che poi sono la prigione, spesso dorata, di molti di noi. 

 
Photo HelenTambo on Instagram


Pastorale americana 
Autore: Philip Roth 
Traduzione: Vincenzo Mantovani 
Dati: 2013, 458 p., brossura; 
Editore: Einaudi (collana Super ET); 
Prezzo: € 14,00 
Giudizio su Goodreads: 5 stelle