lunedì 8 agosto 2016

Arrivederci a settembre

 
Photo Elena Tamborrino


Per la prima volta da quando questo blog esiste ho deciso di prendermi una pausa, che casualmente coincide con il periodo estivo. 
In realtà avverto da un po' di tempo una certa stanchezza e prima che la gestione di questo spazio -desiderato, pensato e curato come meglio ho potuto- diventi un'attività faticosa, è giusto che mi fermi per qualche settimana. 
Ci ritroveremo a settembre, quando avrò rinnovato le energie e allora vi parlerò delle letture che ho appena terminato, "La femmina nuda" di Elena Stancanelli, "Caro Michele" di Natalia Ginzburg e "Al giardino ancora non l'ho detto" di Pia Pera. 
Intanto continuerò a leggere, ho molti libri messi da parte che mi aspettano da tempo e che vedete in foto, le cui storie vorrei "ascoltare" prima di riprendere con le letture di gruppo che prevedono impegni corposi, come il terzo volume de "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, "Rayuela. Il gioco del mondo" di Julio Cortàzar (entrambi con il gruppo degli Scratchreader di Facebook) e "L'urlo e il furore" di William Faulkner per il progetto #LeggoNobel. 
Resta attiva la pagina di "Io e Pepe" su Facebook, dove vi aggiornerò in breve sulle letture in corso, strada facendo. 

Buone vacanze a tutti!

mercoledì 3 agosto 2016

Ultima lettura: "7-7-2007" di Antonio Manzini

Sei dovunque, amore mio. 
Anche quando mi guardo allo specchio
e mi vedo e sono come ‘sto pennello. 
Freddo, senza vita, 
ma ogni ruga, amore mio, 
ogni capello bianco sei tu. 
Come faccio? 

Dice: «Ma come, ti è piaciuto e piangi?». Sì, piango. Embè? Anzi, per i puristi, ebbene? 
Quando un libro mi fa piangere per i sentimenti che mi ha trasmesso, io sono contenta e mi spiace se le lacrime arrivano alla fine, perché significa che finisco lì di emozionarmi. 
E ogni volta che leggo un romanzo che m’impressiona, mi tocca forte, mi scava e mi toglie respiro e sonno, io ringrazio dentro di me il suo autore. 
Nel caso specifico ad appassionare è la storia sì, un lungo flashback che finalmente racconta e fa luce sulla morte di Marina, la moglie del vicequestore romano Rocco Schiavone, ma è anche e soprattutto la grande capacità di Antonio Manzini di entrare nei vestiti di un personaggio, di assumerne l’odore e il sudore, di spiegare i suoi pensieri e le sensazioni, di ricostruirne le parole che dettano dentro. 
Rocco Schiavone è qui più compiuto, forse anche più fragile, più solo, più travagliato e più consapevolmente, intimamente rassegnato. 
Il romanzo inizia con il colloquio che Schiavone deve sostenere con gli inquirenti che si occupano del caso di rue Piave, dove nell’appartamento del poliziotto è stata uccisa Adele, la donna del suo amico Sebastiano. Qualcuno voleva far fuori Rocco, cercavano lui e hanno trovato lei, caduta innocente. L’uomo adesso deve chiarire la sua posizione, i suoi rapporti con gli amici di una vita, quella precedente a Roma prima del trasferimento d’ufficio ad Aosta, i giochetti non sempre legalmente puliti, i traffici e i modi non sempre ortodossi di agire professionalmente. 
Da qui parte il fiume in piena del racconto di Rocco, un lungo flashback che culminerà proprio con la morte della moglie, quel giorno di luglio di sei anni prima: il vicequestore ricostruisce le indagini su un traffico di droga smantellato, dopo l’omicidio di due ventenni che si erano messi in un gioco più grande di loro. Inframezzata alla storia delle indagini di Rocco e della sua squadra, c’è lei, Marina: viva, impegnata, sorridente, colorata, sfidante, impegnativa, innamorata di un uomo certamente imperfetto, anzi con ‘difetti’ più che discutibili, ma comunque decisa a stargli accanto (dove sta l’uomo perfetto, d’altronde?), amica sentimentalmente complice, amante e vera compagna di vita. 
Di Marina nelle scorse avventure di Rocco noi lettori affezionati ci siamo dovuti accontentare del fantasma, che con Rocco giocava alle parole difficili, agli indovinelli, alle penombre che svelano e nascondono il dolore di un’assenza che è più di una presenza. Qui, adesso, finalmente lo vediamo questo amore, che non è solo memoria, ma è desiderio vivo e voglia di ridere e mangiare insieme, di scegliere un gelato o un posto dove trascorrere una vacanza. Questo mi è piaciuto su tutto, di questo romanzo: il racconto di un amore vero, come ne esistono e come a volte si ha paura anche di dirsi, pensando a chissà quale stupida debolezza, come se l’amore fosse un difetto della vita e non invece la vita stessa, quella che prepotente ci aggancia anche oltre la morte. 
Non resta che aspettare il prossimo atto. E non resta che vedere come Marco Giallini renderà sullo schermo Rocco Schiavone. A Filippo Timi è riuscito benissimo con Massimo, il ‘barrista’ della serie del BarLume di Marco Malvaldi (nonostante le discutibili scelte degli sceneggiatori sulla gestione di alcuni personaggi), a Luca Zingaretti e il suo Montalbano, manco a dirlo. Ora la palla passa all'attore romano che, diciamolo, a Schiavone somiglia davvero. 
A Manzini va il merito di saper tenere il ritmo, di reggere i fili della narrazione senza sbavature o incertezze: speriamo che la trasposizione cinematografica delle storie del ‘suo’ eroe di carta non snaturi il personaggio, a favore delle sole trame. 
Intanto, buona lettura agli amici di Rocco Schiavone. 




7-7-2007 
Autore: Antonio Manzini 
Dati: 2016, 369 p., brossura; ePub con DRM 1 MB 
Editore: Sellerio (collana La memoria) 
Prezzo: € 14,00 (eBook € 9,99) 
Giudizio su Goodreads: 5 stelline 
(ma anche 6, o 7, oppure di più, fate voi)