lunedì 11 luglio 2016

#LeggoNobel: "Bellezza e tristezza" di Yasunari Kawabata

Il viola del tramonto svanì presto, 
e il cielo prese un colore gelido, di un azzurro grigiastro. 
La primavera alle soglie pareva retrocedere 
cedendo di nuovo il posto all'inverno. 
Da poco era calato il sole, 
lasciando un punto roseo nel cielo, dietro la foschia. 

Siamo arrivati al quinto appuntamento con #LeggoNobel, il progetto di lettura condivisa degli scrittori che sono stati insigniti del premio Nobel per la letteratura. Si tratta di un’occasione per leggere e commentare insieme autori che forse difficilmente avremmo avvicinato nella nostra vita di lettori. 
Stavolta è toccato a Yasunari Kawabata (Saka, 1899-1972), cui il Nobel è stato assegnato nel 1968 “per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l'essenza del pensiero giapponese”. La stessa abilità narrativa e la stessa sensibilità accomunano Kawabata e Yukio Mishima, forse lo scrittore giapponese più tradotto e conosciuto nel mondo, uniti anche da profonda amicizia interrotta solo dal suicidio di Mishima. 
E proprio leggendo “Bellezza e tristezza” mi sono sentita avvolgere dalla stessa atmosfera torbida e tragica di “Trastulli di animali” (1961) di Mishima, che come il romanzo di Kawabata è soffuso di una luce idilliaca e immerso in una natura pura e semplice. 
Questo mi ha fatto pensare che, come gli scrittori russi sono “i Russi”, riconoscibili in tutto il panorama della narrativa europea tra fine Ottocento e inizi Novecento, come la letteratura americana della beat generation si riconosce perché c’è un filo rosso che lega tutte le opere così come quelle dei minimalisti statunitensi, come i sudamericani hanno i loro paesi colorati e profumati di caffè e cacao e l’indolenza della siesta o la passione della ribellione, così gli scrittori e i registi orientali, giapponesi in particolare, sono accomunati da uno stile unico: i loro colori, pastello e trasparenti, sono gli stessi per tutti e quando si infiammano, diventano rosso sangue. E il rosso del sangue, sui fiori di Phalaenopsis, spicca. 
La storia che racconta Kawabata in “Bellezza e tristezza” riguarda un ritorno, il rinnovo inutile di un incontro e del ricordo di un amore passato: il primo personaggio che incontriamo è Oki, lo scrittore che nel romanzo “La sedicenne” ha narrato la sua relazione con Otoko, che da quell’amore è uscita profondamente cambiata. È lei che l’uomo desidera rivedere, dopo che ventiquattro anni sono passati dalla loro forzata separazione e le passioni e i rancori sembrano sopiti. Il cambiamento di Otoko, diventata nel frattempo una famosa pittrice, è il risultato di una vita pazientemente ricostruita: questo non le impedisce di ricordare quella passione, per la quale lei ha pagato il prezzo più alto e di affrontare, con un distacco superiore, maturato in anni di autodisciplina, l’incontro con l’uomo che si è preso la sua giovinezza per sprecarla e consegnarla al pubblico senza nessuna attenzione per il dolore della ragazzina che Otoko era all’epoca del loro amore. 
La vicenda è ambientata tra Tokio e Kyoto, in epoca contemporanea. Tra le due città si muovono i protagonisti, Oki e Otoko, e i comprimari che svolgono tutti ruoli fondamentali nel paesaggio dei sentimenti disegnato dall’Autore: la moglie e il figlio dell’uomo e Keiko, bellissima allieva della pittrice. Sarà Keiko, legata a Otoko da un rapporto di amore saffico e di profonda ammirazione, il motore delle vicende che vedranno svelare la vera personalità della giovane, una specie di vampiro di linfa vitale, capace di piegare ai suoi capricci, alla sua passione e alla sua vendetta anche un ragazzo ingenuo e appassionato come Taichiro, il figlio di Oki. 
Le atmosfere sono rarefatte e i colori tenui per una storia che è fatta di sentimenti violenti che contrastano con altri ormai stanchi, fino a un epilogo forse prevedibile, proprio per le caratteristiche della narrazione orientale, non solo letteraria ma anche cinematografica –penso ad esempio a “L’impero dei sensi” (1976) del regista Nagisa Oshima- di cui dicevo prima. 
Il libro mi è piaciuto, forse perché mi ha fatto provare dei sentimenti verso i protagonisti, al di là della storia. Ho considerato Oki un inetto incapace di prendere decisioni in modo autonomo, ho sentito compassione per suo figlio Taichiro e per sua madre, una donna che ha soffocato il dolore di moglie delusa nella cura ossessiva della casa, ho provato ammirazione per la compostezza e la saggezza di Otoko, nonché antipatia per l’arrivista Keiko. 
Anche i temi trattati da Kawabata mi hanno attratto, proprio per il modo in cui lo scrittore ne parla: l’amore adulterino, l’omosessualità, la morte, anche nei passaggi più scabrosi sono affrontati dallo scrittore con somma delicatezza. 
Il prossimo appuntamento con Kawabata è con “La casa delle belle addormentate” (1961), per cercare di conoscere meglio questo scrittore dai paesaggi delicati e dalle passioni assolute. 

Photo HelenTambo on Instagram


Bellezza e tristezza 
Autore: Yasunari Kawabata 
Traduttore: Atsuko Suga 
Dati: 1985 e 1993, 171 p.; 2007, 176 p., brossura; ePub con DRM 823,1 KB 
Editore: Einaudi (collana Einaudi Tascabili Scrittori) 
Prezzo: € 10,50 (eBook € 6,99) 
Giudizio su Goodreads: 4 stelline

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