giovedì 26 maggio 2016

Ultima lettura: "Per sempre" di Piergiorgio Pulixi


Mazzeo trattenne il fiato.
sapeva che in quel momento si stava decidendo il suo destino
e quello di tutte le persone che amava.
Come in una partita a poker
aveva puntato tutto ciò che aveva su quella mano.
Tutto.


Come è possibile amare un eroe negativo? È quello che mi sono chiesta quando ho letto il primo romanzo di Piergiorgio Pulixi con Biagio Mazzeo come protagonista, nel momento in cui ho inquadrato il personaggio, che avevo sfiorato appena su Svolgimento e che mi aveva affascinato, anche se non ne avevo immediatamente compreso la portata e la forza.
D’altra parte, che Pulixi fosse uno scrittore di grande intensità narrativa, capace di tenere il lettore avvinto alla storia fino all’ultima parola dell’ultima pagina, lo avevo capito benissimo con "L'appuntamento", quindi leggere la saga poliziesca che ha come protagonista questo poliziotto spietato e insieme sensibile, corrotto ma con un suo senso dei valori, è stata una scelta cercata.
E allora… Biagio Mazzeo è un poliziotto della Narcotici, colluso volta per volta con la malavita organizzata per necessità contingenti; gestisce la Famiglia, una banda molto unita composta da colleghi corrotti come lui e che con lui dividono lo stesso stile di vita, in una grande città non meglio identificata, che viene chiamata la Giungla e della quale hanno il pieno controllo.
Nei tre romanzi pubblicati per le edizioni e/o tra il 2012 e il 2015, Mazzeo e la sua banda sono i protagonisti di una guerra senza confine che li vede prima contrapposti al clan legato al movimento di liberazione della Cecenia, il cui capo Sergej Ivankov diventa una vera e propria ossessione per Biagio, poi alla ‘ndrangheta calabrese con cui si contendono il traffico di droga e di capitali sporchi; a cornice delle vicende sanguinose, che si susseguono senza soluzione di continuità in una escalation di fatti cruenti, ci sono i rapporti con i superiori, tra i quali è difficile distinguere il confine tra lecito e illecito, tra metodi di indagine legittimi e abusi di potere.
Pulixi si muove disinvoltamente in una scrittura complessa sul piano della gestione dei vari fili della matassa di una vicenda che ha come perno fondamentale la Famiglia, e che allo stesso tempo è agile, ricca di sequenze dialogiche che la fanno sembrare una sceneggiatura. La suspense è continua e i cambi di scena repentini, ci si sposta da un set all’altro dell’azione come davanti a uno schermo in cui non si vede dissolvenza, ma solo netti contrasti tra tinte fosche.
Volutamente non mi soffermo in particolare sull’ultimo dei tre romanzi letti, “Per sempre”, nella convinzione che il personaggio di Mazzeo cresca in modo graduale, pur irrompendo già nella prima storia e arrivando a giganteggiare nel terzo episodio. Per questo trovo leggere i romanzi in ordine, anche se l’Autore richiama sempre le vicende precedenti in modo da rendere chiaro il percorso avviato con “Una brutta storia”; lo considero un buon modo per seguire coerentemente il protagonista anche nelle vicende più intime, nelle tracce che la storia che vive lascia nel profondo della sua anima e che sono prodromi delle sue scelte esistenziali. Gli ingredienti sono i classici del noir: soldi, potere, violenza, droga, corruzione, prostituzione. Ma dentro c’è anche sentimento: amicizia, passione, amore e addirittura tenerezza, quella ad esempio che Biagio prova per Nicky, la figlia adolescente di Santo Spada, suo mentore morto in un’azione di guerriglia urbana, che Mazzeo prende sotto la sua tutela.
Non so cosa affascina di Biagio Mazzeo e di tutti i coprotagonisti della saga: personaggi forti, dalla personalità decisa, con ruoli definiti, ma comunque maledetti, assolutamente negativi. Me lo sono chiesto tutte le volte che, dovendo fare altro, interrompevo a malincuore la lettura: non mi sono data risposta, che non risieda nella straordinaria capacità di coinvolgimento che si deve all’inventiva dell’Autore.
Mentre scrivo è già uscita da pochi giorni la quarta storia della Famiglia e già i lettori affezionati sanno che si tratta dell’ultima avventura di Biagio Mazzeo, che il suo creatore saluta definitivamente: è difficile pensare ad una parabola discendente per il poliziotto più complicato che si possa immaginare, mi piace pensare che uscirà di scena in modo plateale.
Aspetto di leggere “Prima di dirti addio”, ma già mi dispiace pensare che non incontrerò più gli occhi di ghiaccio di Biagio Mazzeo.
Photo HelenTambo on Instagram


Per sempre
Autore: Piergiorgio Pulixi
Dati: 2015, 285 p., brossura; ePub con DRM 1 MB
Editore: E/O (collana Sabot/age)
Prezzo: € 16,50 (eBook € 7,99)
Giudizio su Goodreads: 5 stelline

venerdì 20 maggio 2016

"Al minimo" di Fabio Pinna



Photo autoedintorni.altervista.org


Parcheggia col motore al minimo, c'è uno spazio da cui osservare la banalità, qualcuno ha disegnato delle strisce blu per noi, per stare, per pagare. Se ti fidi puoi girare la chiave e spegnere l'auto, voltare le spalle alla banalità nascosta dalla notte. Guardare me o semplicemente stare. Guarda, ti ho disegnato delle strisce bianche per noi, per stare senza disco orario. Se ti fidi puoi anche andare al massimo.
E poi c'è domani
ancora
per bastarti
forse
ma è sempre "fino a quanto"?
Richiama domani
sarò più fortunato
forse
ancora 
per bastarti.
Ma prima c'è oggi
ancora
e si chiama stavolta.
Non ho visto i lampeggianti dietro quel viso stanco, sono rimasto indietro di qualche risposta e tu sei comunque troppo veloce ad andare avanti. Ma la vita è poesia, noi siamo una rima di certo non baciata di un verso. Occupi destinazioni che sono state mie partenze, i tuoi capelli per casa, le lenzuola le abbiamo consumate un infarto di felicità alla volta. E poi, tutte le cose che avrei voluto buttare e invece non l'ho fatto perché a te son piaciute, di me, e adesso non lo farei mai, i sorrisi rimasti sul profumo della pelle.
Ho saltato i tuoi caffè obbligatori, ho saltato qualche tipo di dieta, qualche legittimo "vieni al punto". Ti ho osservata appoggiarti al passato come a un tavolo con una gamba più corta, ora hai cambiato tavolo, sei al presente. Sopra resta tutto dritto a una velocità folle. Non hai visto le sirene spaccare i mutismi dentro i miei respiri, gli occhi saltare tutte le normalità e i non-appuntamenti con noi, non hai visto le mie mani e le loro autostrade iniziate sulla tua schiena. A una velocità folle in una domenica di quelle con l'obbligo di non far niente.  Stare dall'altra parte, dalla tua parte e dalla stessa parte.
Pensavi a domani a dire il vero, mi aspettavo solo domani a dire il vero. Ma prima c'è oggi. E si chiama stavolta.



©️FabioPinna
Trovate Fabio Pinna su Leggere a Colori e su Facebook 

domenica 15 maggio 2016

Ultima lettura: "Mi sa che fuori è primavera" di Concita De Gregorio


Va bene Philippe.
Le coincidenze non esistono.
Hai ragione tu, comme d’habitude.
Esistono i desideri e le passioni che ci portano e ci legano,
le rotte disegnate e invisibili sulle quali corriamo,
i nodi, i pettini, i nostri capelli.
I miei sono molto corti, adesso.
Quasi non servono spazzole, bastano le mani per tenerli in ordine.

È appena iniziato il 2011 e le gemelline Livia e Alessia, 6 anni, spariscono nel nulla, insieme al loro papà, Mathias. Un uomo che non avrebbe mai potuto far loro del male e che però sicuramente l’ha fatto a se stesso, suicidandosi a Cerignola, dopo una lunga fuga partita da Losanna. E altrettanto sicuramente, per quanto inspiegabilmente, l’ha fatto alle sue bambine. E così ha lasciato sola Irina, la sua ex moglie, italiana trapiantata in Svizzera, avvocato e madre di Livia e Alessia, con poche e semplici parole: «Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più».
A Irina Lucidi ha dato voce Concita De Gregorio, nel lungo racconto che la donna le consegna, fatto di frammenti di vita passata, ricordi, ricostruzioni, appelli a chi poteva e doveva intervenire per tempo, indagare forse diversamente da come ha fatto, fermare il delirio di un uomo chiaramente in preda a un disagio psichico antico ma subdolo, invisibile se non attraverso tracce difficilmente interpretabili di primo acchito (“Perché le persone che avrebbero potuto dare notizie utili –gli amici di Mathias, la sua famiglia, la nostra tata, gli psicologi che lo avevano in cura- sono stati così evasivi, latitanti? Così assenti.  Così freddi nel dolore che sarò stato grande anche per ciascuno di loro, certo non grande come il mio ma grande, è sicuro”).
Come puoi pensare che un marito che ti lascia istruzioni su come vestire le bambine, su come preparar loro la colazione, su quante mandate dare alla serratura della porta di casa, su come organizzare la vita della famiglia sia un manipolatore, quale è, e non invece un papà e un marito forse un po’ troppo apprensivo? Questo pensava Irina, che forse Mathias fosse un po’ esagerato, che forse non la considerasse capace di fare la madre secondo il modello che lui aveva in mente, che amasse le loro figlie oltre modo. E invece…
Invece, dopo una separazione affatto traumatica, in cui Irina e Mathias riescono facilmente ad accordarsi su come gestire i tempi e gli spazi delle bambine con l’una e con l’altro, proprio al ritorno da una vacanza, Mathias sparisce portandosi dietro Livia e Alessia. Qui parte la ricerca disperata di Irina e lo sprofondare in un dolore inimmaginabile, le domande, le analisi dei rapporti con le persone che hanno fatto un pezzo di strada con lei, i pregiudizi che hanno condizionato queste relazioni.  E il tentativo di riprendersi una vita normale, riuscito grazie a Luis, un uomo che pazientemente raccoglie i suoi cocci dispersi e li rimette insieme, legandoli a un anello, a una promessa (“Felice, mai così tanto. Ti sembra un sacrilegio? Lo so, lo so. Però lasciami questi minuti intatti. Una gioia incredibile, una gioia perfetta. Luis mi ha detto: provalo, non è niente di speciale ma mi pareva giusto per te, l’ho visto e ho pensato : è proprio come lei, le somiglia. Non è niente di speciale, ha detto. E lo sai com’è fatto? Sono foglie d’albero che formano un cerchio”).
Assegno sempre il massimo delle stelline ai libri che mi trasmettono forti emozioni, che mi coinvolgono sentimentalmente e si fanno leggere senza che quasi mi accorga delle ore che passano (questo l'ho letto in tre ore, durante un viaggio in treno in cui sono arrivata a destinazione sull'ultima parola del racconto). Il giudizio letterario viene in un momento successivo, in casi del genere. Anche perché una forma sciatta mi respinge da subito, quindi il problema non si pone, un libro scritto male lo lascio al suo destino senza sensi di colpa: insomma, per me sicuramente un libro deve saper fare questo, prenderti. E che lo debba fare nella forma più bella e corretta lo do per scontato, vorrei non doverne discutere. Su questo libro non c'è da discutere, il contenitore è adeguato a un contenuto duro e bello, lucido e straziante, assoluto. Frammentarie, dal ritmo ineguale, le voci di Irina e di Concita si confondono nella narrazione (in tondo e in corsivo) e ricostruiscono vicende, indagando nei sentimenti di entrambe, ciascuna nei suoi, la prima in quelli feriti da un’esperienza vissuta, la seconda in quelli di chi si chiede se riuscirà a trovare le parole per raccontare quella esperienza.
De Gregorio le parole le ha trovate e ci restituisce il coraggio di una donna potente e fragile allo stesso tempo, che ha trovato la forza di rialzarsi nonostante tutto.
Perché la vita alla fine può su tutto, per fortuna.

 
Photo HelenTambo on Instagram


  

Mi sa che fuori è primavera
Autore: Concita De Gregorio
Dati: 2015, 122 p., brossura; ePub con DRM 2,1 MB
Editore: Feltrinelli (collana I narratori)
Prezzo: € 13,00
Giudizio su Goodreads: 5 stelline

giovedì 12 maggio 2016

Pillole di libri: "Cacao" di Jorge Amado

 
 
Honório
Ieri sei passato di qui. Io ti ho fatto psss e tu mi ai mostrato il sedere. Proprio così. Chi a fiori da fiori, chi non li a non li da.
Ti mando la foto che mi ai dato.
Dalla a un'altra. Sempre tua
ZEFA"

Nota.
Ho tentato di raccontare in questo libro, con un minimo di letteratura per un massimo di onestà, la vita dei braccianti nelle fazendas di cacao del sud di Bahia.
Che sia un romanzo proletario?
Jorge Amado
Rio, 1933
Photo HelenTambo on Instagram

 
 
Cacao
Autore: Jorge Amado
Traduzione: Daniela Ferioli
 Dati: 2015, 124 p., brossura; ePub con DRM 878,6 KB
Editore: Einaudi (collana Einaudi tascabili. Scrittori);
Prezzo: € 10,00
Giudizio su Goodreads: 5 stelline

martedì 10 maggio 2016

#adotta1bloggerday


#adotta1blogger perché...


perché significa fare comunità e condivisione,
sposare il punto di vista altrui senza rinnegare il proprio.
Significa conoscere altro da sé e incoraggiarlo a esistere.
Significa scegliere di leggere qualcuno
invece di qualcun altro,
significa distinguere senza preconcetti,
significa garantire una diffusione di idee,
possibile solo nel rispetto reciproco.
Adottare un blogger significa farlo conoscere
ed essere contento del suo successo, perché pensi che sia meritato.
Significa non vivere entro gretti confini,
ma aprire la mente e gli orizzonti.
Significa non coltivare in esclusiva il proprio sconfinato Ego,
ma fargli l'occhiolino mentre si frequentano altri
e si apprezzano, forse proprio perché diversi da noi.

domenica 8 maggio 2016

"In viaggio con lo sconosciuto" di Erika Pucci


 
In viaggio con lo sconosciuto

Photo ©️erykaluna

Erano in sei, venuti da molto lontano. L'appuntamento era in piazza, davanti al consueto caffè. Ero in anticipo, come sempre, giusto il tempo di leggere un messaggio dell' agenzia per avvisarmi che Serena, la mia collega, mi aveva dato buca. “Accidenti, con sei tedeschi da sola a raccontare le langhe, un po' di Pavese e un po' di Barolo… sai che esperienza!” Dalla sera prima mi domandavo cosa cercassero i turisti tedeschi di interessante nella casa di Nuto. Si prospettava una giornata pesante, afosa e priva di grandi dialoghi e mi inquietavo perché nei silenzi iniziavo a frullare i pensieri, a sminuzzarli, analizzarli, costruendomi gironi infernali di introspezione. Il sole d'agosto scintillava già sulla piazza di S. Stefano, l'aria era immobile quando arrivò la vettura con la quale saremmo andati in giro per vigneti, sentieri e colline a parlare di letteratura e vino. Era nuovissima con vetri oscurati che la connotavano di mistero, la portiera si aprì e scese lui, l'autista. Non era il buon Sandro, un arzillo signore di una certa età che di solito mi assisteva in queste trasferte e che aveva sempre storie interessanti per intrattenere i nostri viaggiatori: aneddoti di campagna, amicizie, stagioni, ritmi del corpo e del cuore nella semplicità della saggezza contadina che si tramanda inzuppata di buon barbera. Lo sconosciuto si presentò, si chiamava Manuel. Aveva una camicia blu con piccoli pois bianchi, alla moda e fresca, il capello ribelle sulla fronte, abbronzato, senza subbio un tipo affascinante, fattore che mi predispose diversamente verso una giornata nata storta. Ci stringemmo la mano, lo fissai per un attimo di troppo e imbarazzata abbassai lo sguardo. Poco dopo arrivarono i nostri ospiti, tre uomini e tre donne, con zaini enormi come se dovessero scalare tutte le Alpi. Si sistemarono dietro e io accanto allo sconosciuto dal nome esotico. Aggiornammo i documenti, gli orari erano tutti sballati ma Manuel sembrava avere in mano la situazione e questo mi rilassava, potermi affidare era un dolcissimo lusso. Iniziammo il giro delle cantine. Prima degustazione di bianchi con spiegazione da sommelier: alle 10 di mattina con l'afa delle langhe, il rumore delle cicale, il giallo delle ore, avevamo già gustato tre calici di vino. Sarà per quello che riuscivo a raccontare del Partigiano Johnny e della resistenza con molta naturalezza nonostante i sei tedeschi in auto e il mio inglese al moscato: di solito mi metteva sempre a disagio il confronto con loro sui nostri combattimenti perché dovevo trattenermi, essere asettica e molto professionale. In auto tacevano e contemplavano il paesaggio. Il silenzio insopportabile della domenica mattina scorreva tra le vigne e i chilometri fino ai cieli tappezzati di nuvole chiare e fantasiose. Ruppi il ghiaccio senza difficoltà e iniziai un'accurata intervista a Manuel. Esordimmo ovviamente parlando del tempo, del troppo caldo, del freddo che è ancora peggio del troppo caldo, poi domande a raffica  sui chilometri, sui suoi turni, sui viaggi, rapidamente ci sciogliemmo come se ci conoscessimo da sempre, ironizzando con complicità. Nel frattempo le colline ci guardavano, ogni tanto ci fermavamo a degustare altro vino, a raccontare le strade di Alba e dei suoi 23 giorni, ormai i tedeschi erano solo comparse e le Langhe un grande palcoscenico. La nostra pelle era madida di sudore, piccole gocce brillavano sul mio collo e sulla sua fronte, le labbra umide di vino schiudevano parole, sottintendevano desideri, un'alchemia non solo di carne, un'adrenalina che scavava più in profondità della stessa pelle. Era strana l'attrazione che provavo: guardavo lo sconosciuto con desiderio, rassicurata dal fatto che lui fissasse la strada, senza accorgersene, eppure percepivo l'elettricità nella sua voce morbida che mi graffiava piacevolmente. Scoprii un lato di me sconosciuto, addirittura strabiliante l'attimo in cui tornando in auto abbassai lo specchietto sistemandomi il trucco per “civettare” con lo sconosciuto, pratica del tutto nuova e sorprendente. Immaginai le mie mani fra i suoi jeans, scoprii il gioco della seduzione, meglio tardi che mai, e ne ero cosciente. Nella casa di Nuto lessi ad alta voce alcuni passi del romanzo in italiano, i tedeschi ascoltavano con attenzione e osservavano meticolosamente gli attrezzi presenti nel laboratorio, chissà cosa stavano provando. Mi faceva sempre un effetto strano entrare lì, mi accade ancora oggi: avverto l'odore del fuoco con cui Santina è stata bruciata, mi prende una stretta allo stomaco. Ricominciammo a muoverci. Le mani dello sconosciuto sul volante facevano volare la mia fantasia erotica mentre le nostre parole scalpitavano lontano nel viaggio di città e luoghi. “Tornerei sai a ogni anno vissuto” mi disse con la sua voce suadente e velluta, decisamente sexy e al contempo rassicurante. “Io no” risposi ”io sto bene adesso. Forse tornerei all'infanzia perché ero felice, ma non a 14, forse a 20, 30 e via così perché preferisco la felicità di adesso anche se meno spensierata e più consapevole piuttosto che quella di ieri”. Nel frattempo notai una vistosa cicatrice sul dorso della mano sinistra, mille ipotesi avevano stimolato la mia indole investigativa che accantonai, volevo fluire senza ragionamenti contorti, volevo lasciarmi andare in quella parte di altrove che mi ero ritagliata. “E invece io sì. Rivivrei ogni anno indietro, anche quelli difficili, anche quelli dell'adolescenza, perché ormai è solo un procedere per inerzia come se ci si potesse aspettare soltanto di sopravvivere. So che è così, è il ciclo della vita, e quindi non resta che essere felici per ogni giorno che c'è”. Aveva un retrogusto di nostalgia e di amarezza il suo discorso, sentivo farsi spazio dentro di me, il suo dolore era il mio. Bevemmo coi tedeschi del Moscato a Cannelli, il vino si scioglieva sul palato mentre stavamo annusando l'anima. Nel pomeriggio i nostri ospiti erano molto allegri, forse il formaggio, le storie di Pavese, le vigne avevano riempito i loro pensieri. Vollero sapere diverse cose di me, dei miei studi perché avevano apprezzato la presentazione. Eravamo uno strano gruppo ambulante. Nella casa di Pavese comprarono numerosi libri in italiano, io consigliai le poesie. Nel giardino antistante Manuel mi raccontò del Messico, di come sarebbe voluto tornare lì per vacanza ma di come assolutamente in quel momento e chissà per quanto tempo non avrebbe ancora potuto. Avrei voluto chiedere il perché, tacqui. Mi prese nostalgia per Cuba, per il rum bianco, per certi amori e per certi anni, per l'Argentina e per miei nonni e per altre passioni che non sarebbero mai tornate nemmeno con un nuovo viaggio. Quell'uomo raccontandomi di sé mi leggeva dentro. Nel rientro le nostre braccia si sfiorarono ed io sentivo mille brividi e mille immaginazioni percorrermi e per distrarmi parlavo senza tregua, sentivo il suo sorriso abbracciarmi, invisibilmente, mi scrutava senza guardarmi. Avevo le labbra secche. Arrivammo al tramonto nella piazza del paese, l'ultima corriera stava partendo e ci congedammo, i tedeschi mi regalarono una bottiglia di Barolo per ringraziare della compagnia e mi stupirono. Strinsi la mano di Manuel ed era strano, come salutare colui che per un giorno era stato un amico, un confidente, un complice. La collina dei mari del Sud ci guardava, mi fermai ancora un'oretta con i bambini che schiamazzavano nei paraggi, il rumore dei primi fuochi che si allestivano. Cosa fare? Non ero attrezzata per la seduzione. Come funzionava? Quale mossa, strategia, istinto, seguire? Sperai che in qualche modo ci rivedessimo per caso o non per caso, mi erano estranei motivi, aspettative, ero incapace di incorniciare tutto ciò e in fondo non era essenziale. Si stava facendo buio. Scrissi allo sconosciuto un messaggio per ringraziarlo, mi rispose affettuosamente. Sentii dentro di me tutte le lune e tutti i falò incendiarsi in un momento.
©️ErikaPucci

giovedì 5 maggio 2016

Pillole di libri: "Ho sposato una vegana. Una storia vera, purtroppo" di Fausto Brizzi


Volete passare un paio di ore spensierate e divertenti? Questa è la cronaca semiseria di una vita da onnivoro da convertire al veganesimo: il miracolo può farlo solo l'amore (non è proprio riuscito al cento per cento, ma ci si avvicina).
Scivola veloce, si legge facilmente, non ha pretese: diciamo che non è irrinunciabile, ma può far capire come certe pretese salutiste- anche giuste, per carità- nascondano a volte atteggiamenti terroristici e intolleranti.
  
Photo HelenTambo on Instagram



Ho sposato una vegana. Una storia vera, purtroppo
Autore: Fausto Brizzi
Dati: 2016, 130 p., brossura; ebook ePub con DRM 196,5 KB
Editore: Einaudi (collana Stile libero extra);
Prezzo: € 12,50 (eBook € 6,99)
Giudizio su Goodreads: 2 stelline

mercoledì 4 maggio 2016

Ultima lettura: "Atlante degli abiti smessi" di Elvira Seminara


Perché, Corinne, non mi rispondi mai.
Che senso ha, se non mi ascolti,
continuare a parlarti?
Invitarti al ballo dei miei vestiti,
e poi ballare sola, con gli attaccapanni?

Tanti punti in questo romanzo di Elvira Seminara fanno sentire la solitudine della protagonista, Eleonora, ma tra tutti ho scelto questo, che raccoglie le domande accorate di una madre alla figlia, alla quale sta scrivendo l’inventario dei suoi vestiti, che altro non è che il bilancio di una vita che si consegna a chi verrà dopo.
La morte del marito rappresenta per Eleonora lo strappo dalla figlia Corinne: l’incomunicabilità tra le due donne costringe la madre a lasciare Firenze per rifugiarsi a Parigi, dove si muove con familiarità e dove cercherà di mettere ordine tra i pensieri, raccogliendo brandelli di ricordi, seguendo le vite degli altri, gli inquilini del palazzo in cui è andata a vivere. Nella casa che sta lasciando, sul tavolo di cucina, restano tre fogli destinati a Corinne, in cui Eleonora descrive il contenuto del suo armadio di abiti smessi, distinto in categorie, con la raccomandazione di averne cura, perché tra quei vestiti la figlia troverà la strada e le risposte di una vita.
Nell’armadio di Eleonora ci sono così vestiti accoglienti, vestiti rossi forsennati, quelli che t’intristiscono, che aumentano di peso, che ingrassano (”però si vede sotto che sei magra”), vestiti nati sbagliati, vestiti compassionevoli, vestiti grati, vestiti che ti saltano addosso, vestiti impropri (“che non vedi l’ora di strapparti di dosso e fare riposare”): l’elenco è lunghissimo, corre lungo 62 brevi capitoli, in cui le stoffe si mischiano ai rancori, alle sorprese, alle parole, ai gesti consueti e a quelli nuovi, ai dolori e alla rassegnazione, all’impeto e al frastuono dell’umanità intorno alla protagonista, voce narrante.
Gli indumenti si materializzano e non sono solo tessuto, si personificano, hanno un carattere, un aspetto che li fa ‘abitare’ da noi, diventano complementari alle nostre esistenze e ci fanno stare al mondo in qualche modo, anche rispetto agli altri. Gli abiti non sono su di noi, ma sono con noi, prendono vita insieme ai nostri passi e alle nostre voci, alle braccia che ci stringeranno, ai cibi che mangeremo (e che qualche volta li macchieranno), ai caffè che prenderemo. E non è un caso se uso il plurale: l’armadio di Eleonora è il nostro armadio, impossibile non riconoscere anche i nostri sentimenti nascosti tra colori (scuri, chiari, sfacciati, vivaci, cangianti, slavati, pallidi) e stoffe (morbide, tese, ruvide, naturali, delicate).
La passione che trasuda dai vestiti di Eleonora, il loro essere vivi nonostante siano ormai smessi, la voce della protagonista, così vicina alla nostra, trasmettono l’idea forte che la solitudine non ci trova mai veramente soli, perché siamo soli in mezzo agli amori finiti, ai vicini di casa le cui vite sfiorano la nostra e verso le quali abbiamo curiosità, ai figli che si allontanano eppure sono sempre nei pensieri.
All’inizio confesso di aver fatto un po’ di fatica a entrare nell’armadio di Eleonora, a comprendere la forma della sua storia attraverso le pieghe dei suoi abiti; poi però la lettura si è fatta fluida e coinvolgente, tanto da far perdonare all’Autrice uno scivolone storico che riguarda  baronessa di Carini, vissuta intorno alla metà del 1500, che lei ricorda murata viva e che invece fu assassinata dal padre che l’aveva colta in flagranza di adulterio, dando vita a una storia leggendaria che fa parte del patrimonio dei cantastorie siciliani. Poco male, anche se si poteva evitare (e questo piccolo incidente mi ha fatto pensare che forse gli editor di Einaudi sono troppo giovani per aver visto il famoso sceneggiato televisivo Rai del 1975, “L'amaro caso della baronessa di Carini”, di Daniele D'Anza, con Ugo Pagliai e Janet Agren).
Giudizio su Goodreads di cinque stelline, meritatissime.
 
Photo HelenTambo on Instagram



Atlante degli abiti smessi
Autore: Elvira Seminara
Dati: 2015, 179 p., brossura; ebook ePub con DRM 1,0 MB
Editore: Einaudi (collana i coralli);
Prezzo: € 17,00 (eBook € 8,99)
Giudizio su Goodreads: 5 stelline