venerdì 9 ottobre 2015

Una lettura: "Infinite Jest" di David Foster Wallace


Infinite Jest

Autore: Wallace David Foster
Traduttore: Nesi Edoardo, con la collaborazione di Villoresi Annalisa e Giua Grazia
Dati: 2006, 1281 p., brossura
Editore: Einaudi (collana Einaudi Stile libero Big)

[scoprirete] Che le alleanze tra pochi e l'esclusione degli altri
e i pettegolezzi possono essere forme di fuga.
Che la validità logica di un ragionamento
non ne garantisce la verità.
Che le persone cattive non credono mai di essere cattive,
ma piuttosto che lo siano tutti gli altri.

Se non ci fosse stato un gruppo di lettura su Facebook a cui aggregarmi, non avrei mai intrapreso la lettura di “Infinite Jest” e se lo avessi fatto, probabilmente mi sarei arresa prima di finirla. Non certo per la mole del volume, anche se la dimensione del carattere rende ancora più impegnative e faticose le pagine, al di là della quantità (1179 pagine, a cui se ne deve aggiungere un altro centinaio per le note, scritte in corpo ancora più piccolo), ma perché non sarebbero bastate le mie buone intenzioni per fare una lettura del genere in solitaria. E se avessi mollato sarei stata in buona compagnia, visto che sono molti i lettori che hanno abbandonato l’impresa, in momenti diversi, chi all’inizio, chi a metà, chi quasi in fine, stremati tutti. Invece un gruppo di lettura diventa indispensabile strumento di sostegno, ti costringe al confronto, ti stimola e spesso ti conforta. L'adesione al gruppo di lettura Scratchmade (descritto come “gruppo di lettura a massima improvvisazione e a più vasta estensione”) di  Maria Di Biase ha contribuito alla motivazione, altrimenti debole.
Bisognava organizzarsi e quindi: quindici tappe dal 2 marzo al 14 giugno di quest’anno, per una media di ottanta pagine a settimana (dieci pagine al giorno o poco più), tre mesi e mezzo di lettura sistematica e feedback con i compagni di avventura.
Photo HelenTambo on Instagram
In ogni caso alla fine sei solo con questo mattone, anche scomodo da tenere in mano e da portarti appresso e così da una parte c’è il gruppo (prezioso) e dall’altra ci sei tu, che comunque devi leggere, hai scelto di leggere “Infinite Jest” (da ora in avanti #IJ), scritto nel 1996, dodici anni prima della morte per suicidio del suo Autore.
Di Wallace avevo letto in precedenza solo "Una cosa divertente che non farò mai più", che -nonostante l'entusiasmo di molti lettori- mi ha lasciato abbastanza indifferente. Anzi, se proprio devo dirla tutta, la faccenda delle note in fondo mi aveva lasciato un certo senso di fastidio: ritrovarmele anche in #IJ, tutte insieme e quasi illeggibili sia per le dimensioni del carattere utilizzato, che per il contenuto spesso distraente dal fluire della narrazione, non deponeva a favore del romanzo. Una scelta che ho fatto in totale autonomia è stata quindi quella di rinunciare alla lettura delle note in #IJ: mi affaticavano, mi irritavano. So che probabilmente ho perso molto del senso della storia (se Wallace le ha scritte, chiaramente è stato perché fossero lette, ma in questo caso mi sono appellata al solito Pennac, che ha una soluzione per ogni esigenza di lettore), ma è stata una privazione che ha contribuito a non farmi abbandonare il romanzo. Al termine della prima tappa, l’8 marzo, riconoscevo pagine divertenti, alcune illuminanti, molte deliranti. L'impressione sottile è stata da subito che Wallace si sia molto divertito a prenderci un po' in giro, standosene da qualche parte a sganasciarsi dal ridere guardando noi, armati di carta e penna, impegnati a fare su e giù dal testo alle note.
D’altronde quando parliamo di Wallace, parliamo di un mito, o almeno così sembrerebbe. Quindi scegliere di leggere #IJ, uno dei suoi capolavori, se non IL capolavoro, mi è sembrato giusto, un po' come darmi (e dare a Wallace) un'altra possibilità.
All’inizio, a parte qualche brano folgorante, mi sembrava il racconto della supercazzola (per una utile definizione di "supercazzola"), non riuscivo a capirci quasi nulla.
 Ma considerando l'aura dalla quale Wallace buonanima è avvolto, e soprattutto considerando il mito intorno a #IJ, sono andata avanti fiduciosa. E ho avuto ragione, perché bisognava solo attendere di entrare nel loop della narrazione e lasciarsi trascinare senza porsi troppe domande, senza tentare di capire proprio tutto. Man mano che procedevo avevo l’impressione di fare quasi un'esperienza mistica, una di quelle che ti fanno venire le allucinazioni, che ti fanno chiedere ‘che ci sto a fare qua e soprattutto perché?’. Ma si è innescata anche una sorta di dipendenza, tanto che al termine del lungo viaggio dalle parti della “Ennet House, passando per i campi da Tennis dell'E.T.A., con qualche deviazione lungo le strade di Boston” per dirla con Paola C. Sabatini, una delle componenti del gruppo di lettura (o psicanalisi, o di aiuto come gli Alcolisti Anonimi) è facile chiedersi ‘e ora?’.
Se mi chiedono di che parla #IJ non so cosa rispondere di preciso. Dentro c’è di tutto: l’adolescenza, il tennis, varie forme di dipendenza, tra cui quella da sostanze stupefacenti e da intrattenimento che si concretizza nella visione di film in homevideo dette ‘cartucce’, il recupero dei drogati, l’abuso sui minori, la pubblicità, il rapporto genitori-figli, l’autorità, la morte e la continua sensazione di sgradevolezza determinata da immagini particolarmente disgustose: #IJ è il trionfo dei fluidi organici (sudore, sangue, vomito, diarrea) e delle puzze, descritti con tanto realismo che ti sembra di esserci immerso. Cerco tuttavia di fare una specie di analisi degli elementi:
·      QUANDO: in un futuro non meglio identificato, caratterizzato dal nome degli anni, attribuito da grandi gruppi commerciali che fanno da sponsor (ad esempio, ritorna ciclicamente l’Anno del Pannolone per Adulti Depend o l’Anno della Saponetta Dove in Formato Prova).
·      DOVE: in senso più ampio, nella grande nazione O.N.A.N. formata dagli Stati Uniti, dal Canada e da Messico, con il Quebec che promuove forti tendenze separatiste; in senso più ristretto l’azione si svolge in un teatro che spazia tra l’Accademia di tennis fondata da James Incandenza e la comunità di recupero Ennet House, nei pressi di Boston.
·      CHI: il sistema dei personaggi è molto complesso. Al centro di tutto c’è la voce narrante, quella del giovane Hal Incandenza, figlio di Avril Mondragon Incandenza (la Mami) e James Incandenza (detto Lui in Persona, morto suicida –mette la testa in un forno a microonde, non chiedete come, ma lo fa-), regista di molte cartucce, la più importante delle quali è appunto “Infinite Jest” (“Come la maggior parte dei matrimoni, quello di Avril e del defunto James Incandenza fu un prodotto evoluto di accordo e compromesso, e il curriculum scolastico dell'Eta è il prodotto di negoziati e compromessi fra la tostaggine accademica di Avril e l'acuta consapevolezza della prassi atletica di James e Schtitt.”). Hal ha due fratelli più grandi di lui, Orin e Mario, che soffre di un grave handicap. Intorno a loro si muove una pletora di personaggi che animano una vicenda quasi psichedelica. Qualcuno ha provato a organizzare in forma grafica il sistema dei personaggi, che quindi così è stato schematizzato:


Il personaggio che più capisco in #IJ e per il quale provo un sentimento è la drag queen Povero Tony: rappresenta il disfacimento totale, la disperazione e lo squallore di un’esistenza sprecata. Le pagine che a lui Wallace dedica sono tra le più dure, ma anche le più tenere e a volte anche divertenti. Un altro personaggio interessante è Gately, il custode e consigliere della Ennet House, ex tossico quasi completamente riabilitato (a lui si deve uno dei pochi passi romantici del romanzo: “La cosa più sessuale che Gately fece mai con Pamela Hoffmann-Jeep era aprire il suo bozzolo di coperte e intrufolarsi dentro e avvinghiarsi a lei e riempire con la sua massa tutti i suoi morbidi posti concavi, e poi addormentarsi con la faccia sulla sua nuca.”).
·      COSA: molto delle vicende narrate ruota intorno allo smarrimento della cartuccia di “Infinite Jest” il film di James Incandenza che è in grado di provocare reazioni abnormi in chi lo vede, tanto da essere considerato uno strumento di distruzione psichica, chi assiste alla sua proiezione non può più fare a meno di guardarlo e riguardalo fino ad annullarsi totalmente. La protagonista del film di Lui in Persona è Joelle Van Dyne, alias Madame Psychosis, detta anche la Più Bella Ragazza Di Tutti i Tempi, un personaggio misterioso (non meno di altri, in realtà). Il resto dei fatti è qualcosa di molto confuso, in cui districarsi diventa una vera impresa nell’impresa. Tuttavia alcuni passi sono di una lucidità estrema, tanto da consentire il riconoscimento di un intreccio comprensibile, con un significato accessibile: sono le pagine, a mio parere, dedicate alla Cosa (“La Cosa è un livello di dolore psichico completamente incompatibile con la vita umana come la conosciamo. La Cosa è un senso di male radicato e completo, e non è una caratteristica ma piuttosto l’essenza dell’esistenza cosciente”) e al Rifiuto (il parto di una tossicomane che dà alla luce un bambino già drogato che non ha fatto in tempo a formarsi interamente nel suo grembo e lei lo tiene attaccato a sé, una cosa morta che si va disfacendo).
Un tema ricorrente è quello del suicidio, legato alla Cosa. A p. 835 Wallace espone la teoria secondo la quale “La persona che ha una cosiddetta «depressione psicotica» e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette «per sfiducia» o per qualche altra convinzione astratta che il dare e l'avere della vita non sono in pari. E  sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme.” E la paura del cadere non è più forte della paura delle fiamme: la Cosa, quel malessere radicato e completo, è più spaventosa della Morte.
·      COME: la lingua di Wallace è psichedelica, delirante, preziosa, immaginifica. Al limite del neologismo o dell’hápax legómenon, come nel caso del verbo Xare (nemmeno una nota per il significato! Scopare? Conquistare?). E poi si imparano un sacco di cose. Ad esempio cos'è un 'papoose'. Mi sfugge l'associazione con l'aggettivo 'sessuale' a cui Wallace lo costringe, ma non si può avere tutto nella vita.
Le pagine scorrono tra commedia e tragedia e non saprei dire quali ho preferito. Sicuramente ho riso molto a proposito di tatuaggi e in particolare di quello di Calvin Thrust, ex allievo e operatore volontario della Ennet House, già protagonista di cartucce pornografiche, di cui “si dice abbia tatuato sull'Unità le iniziali maiuscole CT che si possono vedere a Unità moscia e il nome per esteso CALVIN THRUST a Unità, invece, ritta.” E sicuramente sono rimasta colpita dalle drammatiche pagine dedicate a Kate Gompert (da p.81 a 93), la ragazza che soffre di una profonda depressione unipolare e che prende il nome da una famosa tennista americana (e per questo Wallace ha passato qualche guaio, attribuire disturbi psichici così gravi ad un personaggio che ha lo stesso nome di una persona famosa realmente esistente non è sempre una buona idea).
Un discorso a parte merita la traduzione di Edoardo Nesi, a cui ho voluto dedicare un minuto di silenzio per la sua "impresa" da pagina 153 a pagina 161. Ma meglio di me può spiegare cosa è stato tradurre #IJ proprio Nesi, qui.
Come ho detto già, finire la lettura di #IJ è stato provare uno svuotamento totale, una sensazione di mancanza nei giorni immediatamente successivi. La conseguenza oggi, a un paio di mesi di distanza, è il raggiungimento di una consapevolezza credo importante: nulla sarà come prima, si sopravvive a #IJ e si cerca di capire qualcosa in più del suo Autore, possiamo leggere i russi senza spaventarci (con lo stesso gruppo sto leggendo “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij e mi sembra che tutto fili liscio senza avere l’impressione di avere a che fare con un mattone della letteratura mondiale). Solo una domanda: cosa resterà di David Foster Wallace? Tra qualche decina di anni si parlerà ancora di “Infinite Jest”? E se sì, in che termini?
Buon viaggio, attrezzatevi e partite, comunque ne varrà la pena.

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