giovedì 30 aprile 2015

Ultima lettura: "Sillabari" di Goffredo Parise (#Sillabari)


Sillabari

Autore: Parise Goffredo
Dati: 2009, 359 p., brossura; ePub con DRM 831,9 KB
Editore: Adelphi (collana Gli Adelphi)

La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei,
 non quando vogliamo noi e non ha discendenti.
 Mi dispiace, ma è così.
Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.

Il libro che ho finito di leggere oggi, dopo la maratona con gli amici Erika Pucci (@erykaluna), Alessandro Pigoni (@Ale_Pig) e il BOT @TwSillabari che con me hanno pensato di proporne la lettura alla comunità di @TwLetteratura su Twitter, in origine erano due volumi, “Sillabario n.1” (Einaudi 1972) e “Sillabario n. 2” (Mondadori 1984, vincitore del Premio Strega di quell’anno); solo in seguito sono stati riuniti nell’unico volume, “Sillabari” (Mondadori 1984; Adelphi 2004 e 2009, ora anche in formato digitale).
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Non conoscevo Goffredo Parise finché non ho letto “Il prete bello”, un paio di anni fa. E mi aveva colpito per quel suo modo di raccontare la provincia italiana, i vezzi e i vizi, la vanità e la varia umanità. Poi, del tutto per caso, mi è capitato di acquistare “Sillabari” (prima in ebook e poi in cartaceo, perché spesso mi succede, se un libro mi piace molto e lo considero irrinunciabile proprio come oggetto da possedere, al di là della temuta precarietà di un formato che potrei perdere per un mero problema tecnico) e mi è piaciuta immediatamente la dichiarazione dello stesso autore, il quale, volendo scrivere dei racconti dedicati ai sentimenti umani “così labili”, procedendo dalla A alla Z, nelle avvertenze affermava di essersi dovuto arrendere alla poesia che lo aveva abbandonato, arrivato alla lettera S della sua rassegna. Mi ha attirato questa dichiarazione di impotenza davanti ad un’ispirazione che se n’era andata così come era venuta. Quasi paradossalmente proprio “Sillabari”, interrotto malgrado le intenzioni del suo Autore, è considerato il vero capolavoro di Goffredo Parise: una raccolta quindi di brevi racconti (cinquantaquattro), da ciascuno dei quali emerge la visione e l’interpretazione di sentimenti umani o di ciò che li provoca e sollecita.
Mi sembrava che potesse essere interessante riscoprire e far riscoprire questo scrittore, forse un po’ trascurato, quasi dimenticato, che tanto mi aveva incuriosito e attirato.
Da questa attrazione all’idea di leggerlo e ‘riscriverlo’ condividendo su Twitter le emozioni e le suggestioni che dalla lettura mi aspettavo di ricevere, il passo è stato breve.
Ma cosa ho trovato in questi “Sillabari”? Intanto gli odori: tra tutti i sensi, l’olfatto è quello che Parise utilizza più di tutti per far percepire situazioni, persone, ambienti e luoghi. I rimandi sinestetici in realtà sono continui, gli odori si fanno colori e i colori suoni: i sentimenti, le reazioni emotive di uomini e donne comuni, ordinari, si fanno eccezionali nelle loro manifestazioni sensoriali. Nei racconti di Parise ci sono animali e città, ci sono gli aspetti sgradevoli della natura umana e la poesia pura. Il tono è struggente, una specie di tristezza si infonde nell’animo del lettore, ma questa malinconia spesso trascende e diventa dolore, e anche fastidio e irritazione. C’è, nei racconti di Parise, violenza e tenerezza, che alternativamente si lasciano il passo, si trasmettono parola, si passano il turno: perché gli uomini sono cattivi e anche buoni. Perchè gli uomini hanno paura e coraggio. Perché gli uomini sono preda di furia e abbandono.
Dei #Sillabari su Twitter, queste sono le raccolte in tweetbook:
A-B; C-F; G-L; M-O; P; R-S

giovedì 16 aprile 2015

Sul comodino: "Capriole in salita" di Pino Roveredo


Capriole in salita

Autore: Roveredo Pino
Dati: 2006, 170 pp, brossura; prima edizione 1996, Edizioni Lint, Trieste
Editore: Bompiani (collana Romanzi Bompiani)

Chi avesse visto l’uomo inciampare lì,
sui gradini di marmo dell’Ospedale Infantile
in quel mattino di pioggia,
 avrebbe pensato a uno scivolone

Difficile trovare, per l’intro di questa recensione, un passo che mi abbia colpito di questo libro che faticosamente sto leggendo, pur trovandomi ormai a poche pagine dalla fine. Così ho scelto l’incipit, che dà l’impronta a tutto il racconto: da un padre sordomuto e alcolista che inciampa sui gradini dell’ospedale dove sono appena nati i suoi due figli gemelli, si dipana tutta l’autobiografia di Pino Roveredo, che affida al suo stile lirico il racconto di una vita disgraziata, destinata ad una redenzione.
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Questo libro si inserisce tra due altri titoli che ho letto dello stesso autore, “Mandami a dire” (Premio Campiello 2005) e “Attenti alle rose” (2009), entrambi molto apprezzati –soprattutto il secondo- per lo stile lieve, la poesia sottesa, l’ironia leggera. Ricordavo uno dei brani più belli di “Attenti alle rose” (
-Oh sì, mia cara! Baciamoci. E non stacchiamoci da questo bacio! Lascia che la mia vita s'infili dentro dentro le tue labbra, il tuo cuore, la tua storia, e poi chiudi il bacio e non farmi uscire mai più! Mai più....
-E tu non uscire bene mio, che se te ne vai mi togli la luce, l'aria e il suono di quella meravigliosa canzone che mi gira dentro il corpo...
-Ma cosa dici, io, via? Tesoro mio, possono chiudere il mondo, può venire giù il cielo, possono ingoiarci sottoterra, che io resto qui, attaccato a te, come un figlio al seno! Baciami...) e riassaporavo altri momenti del genere. Ero insomma fiduciosa, mi aspettavo una lettura che mi avrebbe tenuto compagnia per pochi giorni e con levità. E invece…
È difficile fare le capriole in salita, più facile farle in discesa, quando tutto è facile, la vita scorre veloce e senza intoppi. Ma se provi a sfidarla, se tenti l’impossibile, il fallimento è dietro l’angolo, salvo eccezioni. Il racconto dell’autobiografia di Pino Roveredo procede seguendo l’ordine cronologico dei fatti, le sequenze della sua esistenza si succedono capitolo per capitolo, tra la famiglia di sangue e la famiglia degli amici, tormentati come lui, già da giovane perso nel vino. A inframmezzare quest’ordine si inseriscono pagine in corsivo dedicate a qualche personaggio di cui si parla nei vari capitoli: ricordi, episodi, divagazioni che servono a raccontare coloro che hanno incrociato la vita di Roveredo, lasciando una traccia importante. Forse sono le pagine più belle, dove ho ritrovato l’Autore che mi aveva conquistato anni fa.
Nonostante i commenti assai entusiasti di altri lettori, che su IBS ad esempio hanno assegnato cinque stelline a questo libro, la delusione è profonda: secondo il mio modesto parere, questo racconto è retorico, trasuda lirismo forzato. Un’esistenza sciagurata, che si srotola tra stenti, collegio, carcere, manicomio, alcolismo, amori precari e mercenari, resta un’esistenza sciagurata: hai voglia a raccontarla cercando di mettere la poesia, come può essere nel tuo stile, non la nobiliti e nemmeno la rendi interessante.
Peccato però. Confido in un altro incontro con Pino Roveredo.

lunedì 6 aprile 2015

Ultima lettura: "Dove il sole non sorge mai" di Giorgio Scerbanenco


Dove il sole non sorge mai

Autore: Scerbanenco Giorgio
Dati: 2000, 194 p., brossura;  ePub 1,0 MB
Editore: Garzanti (collana Gli elefanti. Narrativa)

Il pianto è la più grande medicina che conosciamo,
contro il dolore.

Il luogo dove il sole non sorge mai è il riformatorio dove finisce la contessina Emanuela Sinistalqui, quindicenne orfana affidata alla nonna materna, dalla cui casa fugge per raggiungere a Roma il ragazzo di cui è innamorata. Durante il viaggio, accetta un passaggio da tre sconosciuti, autori di una rapina. Quando i rapinatori vengono fermati e arrestati,  Emanuela, sia pure innocente, viene sballottata tra riformatorio e un istituto di correzione per giovani perdute, fino ad un epilogo vertiginoso. Questa è in breve la trama di un romanzo rosa, che non mi aspettavo di leggere.
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La colpa, se così si può dire, è ovviamente mia: cercavo lo Scerbanenco dei polizieschi per i quali è stato famoso, senza sapere che nella sua lunga e prolifica carriera, lo scrittore di origine ucraina e di madre italiana si è misurato con i più svariati generi narrativi, dal noir al western, dal romanzo rosa alla fantascienza. Così ho scelto il primo titolo che mi è capitato tra le mani, senza leggere nessuna sinossi né recensione, sicura che avrei trovato una storia cupa e realistica, che mi avrebbe offerto uno spaccato della società urbana tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Invece mi sono ritrovata a leggere un romanzetto tanto inverosimile quanto anacronistico, cosa che difficilmente accade ai polizieschi: si può leggere un Simenon, Agata Christie,
Manuel Vázquez Montalbán, Alicia Giménez-Bartlett, anche il Camilleri del commissario Montalbano, e farsi prendere dai meccanismi tipici del giallo, indifferenti –volendo- all’epoca e ai luoghi in cui le storie sono ambientate. E sono sicura che anche nel caso di Scerbanenco sia così, ricordando una mia zia, lettrice più che forte ed esigente, che letteralmente divorava i suoi romanzi gialli.
Tornando alle disavventure della contessina Sinistalqui, la storia mi è sembrata esile e popolata da personaggi poco credibili, quasi macchiette con una fisiognomica fin troppo pronunciata: la protagonista non può che avere un aspetto angelico, a dispetto delle accuse che le vengono rivolte, la direttrice dell’Istituto di correzione e tutte le figure che le stanno intorno hanno viceversa aspetto arcigno e spigoloso quanto i loro comportamenti, le compagne di detenzione sono tutte brutte e sgraziate, come d’altronde è la loro vita.
La stessa Emanuela è protagonista di vicende che sono difficili da immaginare per una quindicenne a quei tempi: eppure Scerbanenco racconta storie ambientate in epoca a lui contemporanea, quindi ancora di più si sente stridere la macchina narrativa, proprio perché non ci si capacita dello scarso realismo di certe situazioni descritte, se non facendo ricorso a un incredibile sforzo di fantasia da parte dell’Autore. Probabilmente questo tipo di romanzo rispondeva a una precisa domanda da parte di un pubblico (femminile, immagino) che voleva storie di evasione al limite della verità possibile.
Mi resta un debito con Scerbanenco: continuo a pensare che nella sua sterminata produzione, a cui hanno attinto anche tanta televisione e tanto cinema, ci siano titoli degni della sua fama di grande scrittore, maestro e punto di riferimento per tanti autori di romanzi gialli.
Quindi lo incontrerò ancora, sicuramente, e con maggiore fortuna.