lunedì 26 gennaio 2015

Ultima lettura: "Il giovane Holden" di J.D.Salinger


Il giovane Holden

Autore: Salinger Jerome David
Dati: 1961, 248 p., trad. di Adriana Motti; 2014, 251 p., trad. di Matteo Colombo, brossura
Editore: Einaudi Editore (1961 collana Gli Struzzi; 2014 collana Super ET)

Mi fanno impazzire i libri
che quando hai finito di leggerli
e tutto quel che segue
vorresti che l'autore fosse il tuo migliore amico,
per telefonargli ogni volta che ti va.
(ed. 2014)

Passo in rassegna i tweet con i quali ho commentato la mia lettura de “Il giovane Holden”, raccolti in un tweetbook. Mi aiuta a ricostruire parte dei pensieri che mi hanno accompagnato nel breve periodo impiegato a leggere questo libro di culto, definito classico romanzo di formazione, popolare fin dalla sua pubblicazione nel 1951 con il titolo “The Catcher in the Rye”, che se ha una potenza evocativa per i lettori americani, era invece intraducibile in italiano. Un tentativo era stato fatto con la prima traduzione di Jacopo Darca del romanzo, intitolato per l'appunto “Vita da uomo” (Casini, 1952), ma passando successivamente a Einaudi è diventato “Il giovane Holden”, tradotto da Adriana Motti. E con questo titolo si è conservato nella traduzione di Matteo Colombo, nell’edizione del 2014.
Photo HelenTambo on Instagram
Tanta attenzione per il susseguirsi delle traduzioni di Holden è determinata dal ‘fastidio’ provato mentre leggevo l’edizione del 1961, causato da un senso di estraneità ad un linguaggio giovanile che è cristallizzato in una forma coerente con il modo di esprimersi dei giovani di quasi sessanta anni fa e che quindi mi risultava oggi ostico e artificiale, tanto da farmi decidere, arrivata a metà, di acquistare la nuova edizione e ripartire a leggerlo da lì. Ma non potevo fermarmi alla mia personale irritazione verso un gergo che sentivo tanto lontano, anzi bisognava che diventasse opportunità di riflessione su traduzione, variabilità linguistica e gerghi più o meno transitori.
Ho programmato a scuola di leggere con i miei alunni alcuni romanzi ‘indispensabili’, lanciando l’hashtag #unlibroalmese, per condividere poi con le comunità di lettori su Twitter le scelte volta per volta compiute con i miei ragazzi. Spesso ho guidato la preferenza verso quei libri che desideravo da tempo di leggere, con lo scopo precipuo di colmare mie lacune.
È stato così per “Il giovane Holden”, acquistato molti anni fa per 25000 lire e da allora conservato intonso nella mia libreria, in attesa che mi decidessi a scoprire Holden Caulfield “un personaggio ormai famoso e proverbiale negli Stati Uniti, l'eroe eponimo di tutta una generazione”, come si legge nella nota dell’Editore. Sapevo insomma che dovevo sapere qualcosa di più di questo adolescente americano che
si chiede dove vadano le anitre, d'inverno, quando gela l'acqua nel laghetto di Central Park South a NYC.
Con tutto ciò, cioè pur con la consapevolezza della necessità di conoscere questo romanzo, per quasi tutto il libro mi sono chiesta perché certi libri diventano libri di culto, cosa fa di un personaggio come Holden un personaggio mitico, come si può
segnare generazioni di lettori e fino a quando questo succede. E ancora, di conseguenza, quando Holden è diventato obsoleto, se è mai diventato obsoleto? Oppure la sua eventuale e non provata obsolescenza dipende dalle sue traduzione (motivo per il quale in Italia Einaudi ha pensato che fosse necessario farne fare un’altra, nuova)? E infine oggi, anni Dieci del 2000, quale romanzo può sostituirlo? E poi, si deve sostituire?
A tutte queste domande non ho trovato risposta, soprattutto perché avviandomi alla conclusione, dopo aver deciso di leggere la traduzione di Colombo che scorre veloce (pur non discostandosi troppo da quella di Motti, tranne che per alcune scelte decisamente opportune, come quella di cambiare la voce 'spicinio', familiare e toscana, per 'sbriciolamento' con ‘massacro’ o frasi come "Io sono di un'ignoranza crassa, ma leggo a tutto spiano" del cap.3 con “Io sono abbastanza analfabeta, però leggo un sacco”, solo per citare un paio di esempi) mi sono sentita coinvolta e presa e solidale e comprensiva nei confronti di questo ragazzo singolare che parla per iperboli e anacoluti, tanto da pensare alla fine che Holden ti manca nel momento in cui lo devi lasciare, pur sapendo che non ti lascerà più davvero. Per cui, senza se e senza ma, “Il giovane Holden” è ovviamente un romanzo ‘obbligatorio’.
La lingua di Holden è senza peli; fa riflettere la scelta del politically uncorrected nella traduzione di Colombo (e non poteva essere diversamente, lontano da qualunque ipocrisia lessicale): i ‘pederasti’ della traduzione del 1961 diventano ‘finocchi’, nella nuova traduzione, per esempio.  Questo colpisce perché abbiamo forti tabù rispetto alle parole, a certe parole. Ecco perché sobbalziamo davanti a 'finocchi' del cap.24, ci sembra forte, offensivo e nessuno si sognerebbe di usare questo vocabolo, oggi.
Invece sono solo parole, sono modi di dire, una volta non cambiava la sostanza, adesso sì. Come per ‘negri’, che prima si diceva senza rischi per la suscettibilità di nessuno: il rispetto passa dalle parole, ma a volte no, è decisamente altro. E si dissimula il timore delle discriminazioni dietro perifrasi e parole altre.




martedì 20 gennaio 2015

Ultima lettura: "Le regole degli amori imperfetti" di Mara Roberti


Le regole degli amori imperfetti

Autore: Roberti Mara
Dati: 2014, ePub con DRM 756,0 KB
Editore: Emma Books (collana Love)

Se la vita è come una tazza di tè,
significa che qualcuno di noi sarà l’acqua
 e qualcun altro il tè

Una premessa urge: non amo la letteratura rosa e chi mi conosce personalmente, o ha dato una sbirciata al mio blog, questo lo sa bene. Il fatto che io mi definisca una lettrice avida e ‘onnivora’ non significa che sia ‘bulimica’, tanto per continuare con le metafore alimentari. Sicuramente non ho pregiudizi e assaggio tutto prima di dire che non mi piace, dopodiché è giusto specificare che scelgo le mie letture sulla base di gusti affinati nel tempo, mi lascio incuriosire da molti argomenti, ma il più delle volte i miei percorsi di lettrice, per quanto disordinata, si svolgono su direttrici costruite per affinità. Sono stata una lettrice di romanzi rosa in età adolescenziale, e non rinnego questa predilezione, per quanto sia stata completamente inutile per la mia educazione sentimentale, forse perché la vita vera insegna molto di più di quella inventata.
Photo Elena Tamborrino

Probabilmente questo è il motivo per cui oggi, se mi lascio sedurre da una storia d’amore, è perché vi ho scorto delle possibilità inconsuete, eppure verosimili. È assai facile innamorarsi di un tizio bello, ricco, giovane, intrigante, affascinante e magari pure un po’ bastardo (ché chissà perché tante si innamorano di questo genere di uomo, aveva ragione Marco Ferradini), invece che di uno bruttarello e tracagnotto, disoccupato e nullatenente. Eppure quando capita la storia d’amore comune, quella che può succedere a chiunque, quella in cui ti chiedi ‘com’è possibile farsi attrarre da uno/a così?’ (ben sapendo che quelli che attraggono spesso sono ‘uno/a così’), se è ben scritta, se c’è sugo, se c’è trama, allora riesco a cedere ancora alla tentazione del rosa, che però vira al violetto. È quello che mi è successo in tempi recenti con "Fare l'amore" di Rossana Campo, o qualche anno fa con “Non ti muovere” di Margaret Mazzantini.
Dopo questo preambolo obbligato vengo al dunque: ogni tanto mi capita ancora di leggere un romanzo rosa, di quelli classici della serie "io ti amo, tu mi ami, non c'importa della gente" che normalmente scanso. Ma si sa, la vita è bella perché è varia.
E così sulla mia strada è capitato questo ebook, che mi ha attratto perché presenta una strada alternativa e parallela alla storia d’amore nuda e cruda, la strada del tè.
La storia si svolge in un posto immaginario, ma così ben descritto che potrebbe esistere realmente ed esiste sicuramente nella testa dell’Autrice, che di tanti posti amati (Pitigliano? Scanno?) ha raccolto scorci che tutti insieme fanno il borgo romantico di Roccamori.
A Roccamori si reca Elisa, grazie a un soggiorno omaggio arrivato inaspettatamente, insieme a una specie di fidanzato che in pochissime battute si rivelerà quello che è, cioè un mediocre che si fa presto a dimenticare. Ma in quel luogo, dove si chiuderà il cerchio della sua vita sentimentale e dove è stata attratta con un piccolo inganno, la ragazza scoprirà il mistero della sua giovane esistenza, ancora breve ma già densa di sofferenze. E soprattutto Roccamori sarà il luogo dove Elisa capirà da dove parte la sua passione per il tè, ereditata dalla madre che l’ha iniziata alla cura di questa bevanda, nelle sue varietà più rare e pregiate, e alle cui regole di preparazione sta dedicando un libro. Sono proprio le pagine dedicate al tè quelle che hanno attirato maggiormente la mia attenzione; scopro, solo alla fine della lettura del romanzo, che Mara Roberti ha veramente pubblicato un libro parallelo a questo, che ha intitolato "Le regole del tè e degli amori imperfetti" e che contiene gli appunti di Elisa. In questo volume, “un po’ manuale, un po’ dizionario, un po’ libro di ricette”, si troveranno le spiegazioni sugli otto tipi di tè citati dalla protagonista del romanzo, di cui diventa naturale appendice. Ma anche senza leggere il manuale di Elisa sul tè, la bevanda è egualmente il filo rosso che lega la vicenda e la rende originale rispetto a una comune romantica storia d’amore.
Di una cosa sono convinta: non deve essere facile scrivere un libro rosa, come non è facile scrivere nessun libro. Ma forse per il genere romance è ancora più difficile, il rischio di affondare nella melassa è concreto e se si ambisce ad attirare un pubblico un po’ esigente, che non si fa facilmente conquistare, o si ha una buona idea e la si rende bene per scritto, oppure la partita è persa in partenza. A me sembra che Mara Roberti ci sia riuscita: lo stile è scorrevole e la trama ben congegnata, per quanto un po’ inverosimile. Ma a un romanzo rosa che per definizione nasce per dare sostanza ai sogni, la dimensione dell’improbabile si può perdonare.

lunedì 12 gennaio 2015

Ultima lettura: "L'appuntamento" di Piergiorgio Pulixi


L’appuntamento

Autore: Pulixi Piergiorgio
Dati: 2014, 129 p., brossura
Editore: Edizioni e/o (collana Originals)

Perché, devi sapere, io non sarei quello che sono senza Cassandra…

È molto bravo Piergiorgio Pulixi, giovane scrittore che esce dal collettivo Sabot di Massimo Carlotto, già inventore del poliziotto (scorretto) Biagio Mazzeo, protagonista di due romanzi che precedono questo, in cui però non entra.
Pulixi ha scritto un racconto lungo 129 pagine, che si fanno leggere in un paio di ore: questo è il tempo che ho impiegato per farmi prendere da questo serrato scambio di battute, durante il quale si srotola una storia ad alta tensione.
Photo HelenTambo on Instagram
A raccontare l’incontro al buio tra Laura e –diciamo- Domenico, è l’uomo, in prima persona. Un uomo che è un grande osservatore e che studia a distanza la sua vittima, prima di avvicinarla. Che Laura sia una vittima, lo si capisce dalle prime battute, dal suo atteggiamento di attesa solitaria al tavolo di un elegante ristorante dove è stata convocata per un ‘gioco’ molto particolare. Queste le premesse, che porteranno a uno sviluppo della situazione tutt’altro che scontato.
La storia si svela al lettore attraverso rapide sequenze dialogiche, in cui volta per volta si inseriscono i vari personaggi di contorno, ciascuno dei quali svolge un ruolo determinante per lo sviluppo dell’intreccio. E si tratta di un intreccio in cui sembra di scendere in un gorgo di perversione sempre più profondo, fino all’inimmaginabile conclusione un po’ splatter. 
Il culmine di un’escalation di violenza psicologica è lo svelamento di un piano diabolico e scellerato, determinato dalla noia e dalla ricchezza.
Pulixi si fa leggere fluidamente, coinvolge il lettore in una spirale di attese ansiogene, nulla di meglio per gli amanti del genere noir. Unica nota stonata, in una scrittura gradevole e curata, è il cedimento a un’espressione modaiola che a me risulta odiosa, un quant’altro a p. 121 che si poteva sostituire con un sintagma dallo stesso significato (ma questa è una questione di gusti). Nulla toglie all’efficacia del racconto, che merita uno dei vostri pomeriggi da fine settimana di maltempo, in poltrona e al caldo confortevole delle vostre case.
E se non lo leggerete quest’inverno, portatelo al mare la prossima estate, ma non leggetelo sotto il sole, rischiereste di dimenticarvi del tempo che passa e di prendervi un’insolazione. Meglio sotto l’ombrellone.
E state attenti a tutte le vostre interazioni tramite social… Molto attenti.

PS. La citazione in apertura della recensione non si può capire se non si legge il libro. Quindi buona lettura.

mercoledì 7 gennaio 2015

Ultima lettura: "L'amore che ti meriti" di Daria Bignardi


L’amore che ti meriti

Autore: Bignardi Daria
Dati: 2014, 247 p., brossura
Editore: Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)

A Ferrara tutto è circoscritto, nascosto.
Il Castello è circondato dal fossato,
il centro è circondato dalle Mura,
i giardini sono interni, circondati dalle case,
persino le tende delle finestre, color cotto,
sembrano pensate per confondersi coi muri e nascondere segreti-

In questo libro si racconta di un mistero.
Che è quello che dovrebbe prenderti da subito e non mollarti finché non arrivi al suo scioglimento.
Invece la storia parte in sordina e ti avvolge piano piano, accompagnandoti in una Ferrara sonnacchiosa, che è il teatro degli avvenimenti che hanno visto protagonisti Alma e Maio ieri e Antonia, detta Toni, oggi.
Photo HelenTambo on Instagram
Alma e Marco, detto Maio, sono fratelli, cresciuti in una famiglia molto riservata e dal passato oscuro che si va svelando man mano che Antonia, figlia di Alma, si mette in testa di tornare a Ferrara, città di origine della famiglia materna, per indagare sulla improvvisa e oscura sparizione dello zio tossicomane, trent’anni prima.
Antonia, giovane scrittrice di gialli, prossima a diventare mamma, vorrebbe ispirarsi al commissario di polizia da lei stessa ha inventato, ma i suoi metodi investigativi sono goffi, i suoi tentativi di ricerca confusi e frammentari, per di più ostacolati dall’atteggiamento della madre, da sempre reticente sul passato della sua famiglia, e dalle persone che Toni incontra per fare chiarezza sul mistero della scomparsa di Maio. La soluzione dell’enigma arriverà alla fine, in modo del tutto inaspettato, come in ogni giallo che si rispetti.
Ma questo di Daria Bignardi non è propriamente un giallo, o meglio il giallo è solo un pretesto per analizzare i meandri oscuri in cui si annidano risentimenti, dolori e segreti familiari, in uno sfondo provinciale che è anche un omaggio alla sua città natale, Ferrara, così ricca di storia e cultura continuamente evocate (il nome di Giorgio Bassani è spesso richiamato, insieme al pasticcio di maccheroni alla ferrarese, quasi con la stessa frequenza).
Chi conosce la città, individuerà i luoghi in cui Toni si muove; per chi non è mai stato a Ferrara è un modo per farsi venire la voglia di fare un giro da quelle parti.
Il sistema dei personaggi che si muovono nella vicenda è complesso e si muove su due piani, tra passato e presente, con punti di intersezione (Alma tra ieri e oggi, la sua amica Michela, la signorina Lia, vicina di casa della famiglia di Alma ai tempi della scomparsa di Maio). Tutti sono ben tracciati e descritti sia fisicamente che caratterialmente: Leo (il compagno di Toni), il commissario D’Avalos (collega di Leo e guida per Toni a Ferrara), la signoria Lia e la sua cagnetta Mina, Isabella (la bella barista, figlia di quella Michela amica di Alma e Maio fino alla scomparsa di quest’ultimo, a cui era legata sentimentalmente -Ci siamo divertiti moltissimo noi tre. Tre è un bel numero, quando sei ragazzo. Un’utopia di società ideale-).
Lo stesso Maio si definisce sempre più precisamente, fino all’epilogo della vicenda. Le uniche che sfuggono a una descrizione fisica precisa sono Antonia e Alma, le due voci narranti che si alternano nella ricostruzione dei fatti, in una continua altalena tra quel che è stato e quel che forse è: non si riesce a visualizzarle, di loro si sa quel che fanno, cosa pensano, come vivono, ma poco si intuisce delle loro fattezze fisiche (solo di Antonia si sa che ha una pancia prominente, essendo prossima al parto), sono soprattutto entità emozionali.
Lo stile della Bignardi è pacato, misurato e tuttavia capace di prendere il lettore in modo sempre più appassionato; il racconto procede senza scossoni, senza evidenti colpi di scena, eppure da un certo momento in avanti e fino alla fine, non riesci a staccartene.
Mi sembra anche questa una bella prova narrativa, la quarta dopo il libro di memorie “Non vi lascerò orfani”, una specie di lessico famigliare alla Ginzburg, “Un karma pesante” e "L'acustica perfetta", in corso di traduzione in nove Paesi, tutti editi da Mondadori.
Insomma, leggetelo.
Non va bene come conclusione? Io dico di sì: leggetelo.