domenica 27 luglio 2014

Finger: Narciso non abita più qua





Non so distinguere la destra e la sinistra. In senso fisico, intendo.
Se mi chiedete un’indicazione stradale vado nel pallone, il più delle volte mando gli incauti che lo fanno dalla parte opposta a quella dove devono andare, poi me ne accorgo e vorrei inseguirli per dire loro “Scusate, mi sono sbagliata, è per di qua”, ma è sempre troppo tardi, hanno svoltato dove non dovevano e si perderanno e saranno costretti a chiedere altre informazioni e penseranno “Ma che cretina doveva capitarci, manco sa la destra e la sinistra”.
Se ho una frazione di secondo per riflettere, cerco di orientarmi e uso il mio indice destro, percorso da una cicatrice che era brutta quando era fresca moltissimi anni fa, ma ora lo è meno perché quasi non si vede, solo io la sento sotto il polpastrello del pollice, quando la cerco. Un brutto taglio da piccola, avevo forse sette anni, il sangue che non smetteva di uscire a fiotti dalla ferita che non c’era verso si potesse rimarginare da sola, la corsa al Pronto Soccorso e un punto di sutura in senso perpendicolare alla ferita: uno solo, il dito era molto piccolo. Ricordo solo strilli e pianti, i miei ovviamente.
Photo HelenTambo on Instagram
Forse da allora ho smesso di preoccuparmi di imparare a distinguere destra e sinistra, avevo la mia ferita a ricordarmi la differenza.
Provate allora a chiedermi un’indicazione stradale, datemi un attimo di tempo per organizzarmi e osservate il mio movimento istintivo: pollice su indice destro, mi starò rassicurando che la cicatrice è lì e che quella è la destra. Vi manderò facilmente lo stesso nella direzione sbagliata, ma il mio tentativo lo avrò fatto comunque.
In questa vita social dove le persone invece che guardarsi reciprocamente negli occhi assecondano sguardi rivolti a chissà chi, sorridono al vuoto aggrinzendo le labbra in un bacio destinato all’aria o atteggiandole in un broncio pateticamente sexy, oppure si concentrano sul proprio ombelico, reale e metaforico- quando non resta molto da esibire in foto, ci si comincia a guardare addosso e si cerca cosa c’è ancora di presentabile.
Così, dopo lungo pensare, ho deciso di presentarvi il mio dito: certo, ci vogliono costanza, dedizione, disciplina, fermezza e forza di volontà per togliersi il vizio adolescente di rosicchiare le unghie e sfoggiare oggi ovali quasi perfetti, non ricostruiti ad arte da sapienti mani di estetista. L’onicofagia è un disturbo compulsivo comportamentale che può portare a danni terribili… cercate su Wikipedia.
Certo, se si pensa all’indice forse molti visualizzano quelli che, fermi al semaforo, si dedicano nell’attesa a scrupolosi scavi della propria narice, ma è altro che io penso istintivamente, pensando sempre al mio indice e alla cicatrice, che ne è segno particolare: questo è il dito che mi serve per impugnare, con il pollice e il medio, la penna e per digitare sulla tastiera del computer o muovermi sulla schermata del mio smartphone, anche questo un modo di orientarsi.
Mi è servito per indicare ai miei figli dove guardare e cosa –non le persone, quelle no, la mia mamma me lo diceva sempre “Non indicare le persone con il dito!”-, per insegnare loro dove dirigersi.
Ha indicato a loro e indica a me stessa: mi piace, si chiama indice come quella parte di certi libri, che reca -alla fine o all’inizio- l’elenco dei capitoli, con le pagine corrispondenti, e mi serve quindi per orientarmi, come il mio dito che sa la destra e la sinistra.
Non è un dito, è la mia bussola.

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