mercoledì 18 settembre 2013

Ultima lettura: "I baci di una notte" di Antonella Boralevi


I baci di una notte

Autore: Boralevi Antonella
Dati: 2013, 255 p., rilegato
Editore: Rizzoli (collana Rizzoli Best)

 "Questa è dunque La Montagna. 
Queste macchie nere nere che ti schiacciano. 
Questi pietroni che avanzano fin sulla strada. 
Questa notte gigantesca. Eppure, lei non ha paura."

Photo HelenTambo on Instagram
I ricchi hanno nomi altisonanti e ricercati, ad esempio Sigieri. O Drusilla, come la madre di Sigieri, appunto. O addirittura Altagrazia, come l’anziana cameriera che ha cresciuto Sigieri: sarà pure una cameriera, ma è cameriera di ricchi, quindi ha un nome da ricca, altisonante e ricercato. I ricchi si accorciano vezzosamente i nomi altisonanti e ricercati che portano, infatti Sigieri lo chiamano Sigi e i suoi amici ricchi sono tutto un profluvio di Ele, Bea, Filo, Marti, Dile e via abbreviando.
I povericristi hanno nomi modesti, magari ereditati da qualche nonno, nomi di famiglia che si appiccicano ai bambini come etichette, marchi di fabbrica e segnali di appartenenza, come Santina. Oppure si chiamano in modo esotico come Gessica, ma con la G, perché è più italiano. Qualche volta anche i povericristi usano i diminutivi, come per Tore, che veramente sarebbe Salvatore, ma è lungo e quindi va bene Tore.
I ricchi non si sa bene cosa facciano nella vita oltre ad essere ricchi. Probabilmente vivono di rendita, ci sarà chi lavora per loro, sicuramente i giovani ricchi si annoiano, anche quando si divertono.
I povericristi fanno gli inservienti in una popolare catena di fast food, oppure le sciampiste. Come Santina e Gessica, tanto per dirne due a caso. Tore ancora è piccolo, è il fratellino di Santina e deve ancora andare a scuola.
I ricchi si spostano quasi sempre solo per piacere, ma lo fanno con la loro noia altezzosa, ripetendo luoghi e gesti e riti, tramandandoseli per generazioni, inutilmente.
I povericristi spesso lasciano il loro paese al sud, ad esempio Termini Imerese di sole e di mare, e vanno a lavorare a Cernusco sul Naviglio, al nord.
Qualche volta i povericristi hanno una botta di culo e il parroco li porta in gita. Sulla neve. A Cortina. Dove vanno i ricchi di solito. A Cortina si chiude il cerchio di qualche storia. Ad esempio di questa storia, raccontata in “I baci di una notte”.
Gli ingredienti del nuovo romanzo di Antonella Boralevi, giornalista, sceneggiatrice e scrittrice al suo diciassettesimo libro, sono questi, pochi e incisivi.
All’inizio della lettura sembra tutto un po’ stereotipato: la faccenda dei nomi, mamma Drusilla che non può che dormire avvolta in sete e pizzi, Santina che non può che avere le unghie rosicchiate, i sederi alti e i pancini scoperti delle varie Sofi, Bea, Ele, le amiche di famiglia che sembrano tutte delle martamarzotto vestite nei tradizionali dirndl bavaresi, Gessica che invece –poveracrista come Santina- è un po’ cicciotta. La storia procede così, descrivendo parallelamente mondi distanti, che per un caso, nei tre giorni della vigilia di fine anno, a Cortina (e Boralevi dice che Cortina era perfetta per immaginare questa storia, quando ha cominciato a immaginarla e poi a scriverla), sono destinati a toccarsi appena. Ma per quel poco che si toccano, rovesciano tutte le situazioni fino a quel momento costruite nella narrazione. L’incontro casuale tra il giovane smagato Sigieri e l’ingenua, sprovveduta Santina fa da detonatore per una vicenda che, da quel momento in avanti, procede a precipizio come una valanga (siamo sulla neve, in un rifugio alpino, la notte di Capodanno, isolati dal mondo), lasciandoci in fondo senza fiato, con il cuore oppresso dagli avvenimenti e le tante domande su come sarebbe potuta andare se…
“I baci di una notte” è così: un romanzo che all’inizio può dare l’impressione di essere un po’ lezioso, anche scontato, per poi sorprendere e travolgere.
La prosa di Antonella Boralevi è fluida, lo stile è minimalista, frasi brevi, dialoghi serrati, descrizioni attente ai particolari, tutti necessari per portare il lettore lì, in quelle stanze, a vedere quelle persone, a sentire le loro parole. Come capita a Santina e Gessica, sedute a un tavolino appartato, vicino alla toilette, spettatrici inconsapevoli di essere fatalmente volte a diventare protagoniste, a oscurare figure slanciate appena coperte, orecchini tintinnanti, boccoli biondi, fuoristrada, champagne e vizi.

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