mercoledì 28 agosto 2013

Ultima lettura: "Balcani" di Alessio Parretti


Balcani

Autore: Parretti Alessio
Dati: 2013, 176 p., brossura; 88 p., EPUB
Editore: autopubblicato (ilmiolibro.it)


L’esordio di Alessio Parretti, che avviene grazie al selfpublishing, è uno di quei casi che merita attenzione.
Photo @ExLibris2012 on Twitter
Si tratta di un romanzo ‘opera di fantasia ambientata in un contesto storico reale’, quello della guerra che ha insanguinato la ex Jugoslavia appena una ventina di anni fa e di cui oggi ancora si scontano gli orrori. Il racconto si snoda attraverso le pagine del diario di Amir Osmanović- studente universitario votato alla causa della resistenza bosniaca- che parte dal maggio 1992 per interrompersi a gennaio dell’anno successivo, e le voci dei sottufficiali Parisi, Capasso e D’Amato che, anni dopo la fine della missione di pace in Bosnia, affastellano ricordi disseminati di rabbia, rimpianti e dolore per un’esperienza che li ha segnati profondamente. Oltre alle voci narranti, è forte la presenza di altri personaggi; tra loro spicca Fois, caporal maggiore che in Bosnia perde la vita, vessato dall’ambiente della caserma e dei commilitoni, che cercano nel sopruso un modo per farsi forti e farsi forza. Proprio la morte di Fois, che riserva un colpo di scena finale, è il segno più forte nelle vite dei tre sottufficiali, quello che determina il fluire dei ricordi più rabbiosi e amari.
Siamo di fronte quindi a un racconto corale, in cui però non si colgono scarti di stile: prima di riuscire a delineare le personalità dei protagonisti narranti, anche grazie alle esperienze diverse che questi maturano e di cui si fanno portatori nella loro cronaca, è necessario scorrere le pagine avanti e indietro tra le voci che si alternano, per riconoscerle.
Il tutto si presenta come una denuncia forte, fondata su una documentazione che si intuisce accurata. Il diario di Amir racconta gli orrori veri della guerra tra milizie serbe e resistenza bosniaca all’indomani della dichiarazione d’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, la guerra più sanguinosa e crudele tra tutti i conflitti che hanno ferito la regione balcanica. Una guerra che ha visto compiersi i crimini più efferati contro la popolazione civile: stupri sistematici, torture, orrende mutilazioni, deportazioni di massa, lager, tutto si trova nelle pagine di Amir. Allo stesso modo, nei racconti dei sottufficiali italiani, impegnati pochi anni dopo nella missione di pace dell’ONU, emergono i disagi, le conseguenze psicologiche e fisiche (prima tra tutti l’insorgenza di malattie tumorali a causa dell’operatività in zone contaminate da uranio impoverito), il malessere diffuso, le difficoltà nei rapporti tra commilitoni e con i superiori.
Avanzando nella lettura, “Balcani” si arricchisce di altri elementi al limite dell’imprevedibile, in una vicenda che poteva svolgersi in modo scontato, e che invece lo rendono sempre più coinvolgente.
L’ebook “Balcani” è uscito nel marzo di quest’anno, seguito dalla versione cartacea. Non si capisce perché la versione digitale sia di 88 pagine, molto fitte e faticose da leggere nonostante gli ereader siano dotati della possibilità di ingrandire i caratteri, contro le 176 della versione cartacea; non è questione di corpo del carattere, quello effettivamente si può anche ingrandire per rendere la lettura più agevole sullo schermo, il problema è l’intensità del racconto e la conseguente necessità di ‘tirare il fiato’, quasi riposare gli occhi da una narrazione così densa. Sembra un dettaglio trascurabile, ma non lo è per niente.
Avrebbe giovato al romanzo un buon lavoro di editing, che spesso manca ai prodotti autopubblicati che non godono delle cure che un editore che sa fare il suo mestiere dovrebbe assicurare ai suoi autori: probabilmente si sarebbe eliminata l’espressione modaiola -e usurata ormai- quant’altro, che ad un certo punto ricorre con una certa insistenza, in più pagine. Poche altre sbavature si notano (ad esempio Charlotte in luogo di Charlot, personaggio nato dalla fantasia e dall’arte di Charlie Chaplin), una maggiore cura dei particolari le avrebbe evitate. Purtroppo è anche vero che muoversi nella giungla degli editori, in cui non sempre è facile distinguere serietà e professionalità, costringe molti giovani autori al selfpublishing, che se da una parte rappresenta il solo modo per farsi leggere, allo stesso tempo non sempre offre ai lettori prodotti di qualità.
Questo è il caso di un prodotto di qualità, che merita considerazione: chissà che il passarola, insieme alla pubblicità promossa dagli account dedicati sui principali social network, non faccia il miracolo (sappiamo bene che è successo anche in  situazioni meno interessanti!).


domenica 11 agosto 2013

Ultima lettura: "Vimini" di Donato Cutolo


Vimini

Autore   : Cutolo Donato
Dati: 2012, 84 p., brossura
Editore: Zona

Photo HelenTambo on Instagram
Vimini è la storia di un ritorno, quello di una ragazza che, dalla Borgogna dove vive da tre anni con il padre produttore di vini, vuole andare a riprendersi le radici lasciate a San Timo, dove è morta sua nonna Cecilia che l’ha cresciuta, dove vive sbandata sua madre Lara, dove ha lasciato l’amico Sacco e l’affetto più grande, Remo. Più che di una storia si tratta di un insieme di quadri, di immagini in cui il filo conduttore è il colore, quello che Vimini (ah già, dimenticavo di dire che questo è il nome della protagonista), ereditando questo divertimento da sua madre che da piccola aveva presto imparato la sequenza perfetta dei colori dell’arcobaleno, attribuisce agli eventi, alle persone, agli oggetti, in una specie di gioco delle sensazioni. In questo susseguirsi di inquadrature, Vimini si muove circospetta, alla ricerca di qualcosa che ha definitivamente perduto (ma lo capirà solo alla fine), apparentemente distaccata e contemporaneamente desiderosa di recuperare spazi e tempo della memoria, anche se dolorosa. Più che di Vimini la storia è quella che sta sullo sfondo, ed è quella di sua madre, una donna bella e persa, inquieta e incapace di gestire persino se stessa, figuriamoci una bambina che poi diventa adolescente, impenetrabile e nemica. Di Lara vuoi sapere, leggendo: delle sue fughe nella notte, dei suoi amori strapazzati, dell’alcool, del marito che non riesce a starle dietro. E capisci che ciò che Vimini è, risulta dal groviglio di affetti che la circonda (suo padre da lontano, la nonna, Sacco e Remo) e dalla vita imperfetta di sua madre.
Se le coordinate spaziali sono chiare (San Timo –ma esiste? Non importa, c’è-, il porto, la campagna, la Francia, le vigne), altrettanto non si può dire di quelle temporali: la vicenda sembra ambientata ai giorni nostri (una sensazione forte, mai però assecondata da indizi interni al testo o da esplicitazioni precise dell’Autore), ma Vimini ha appena diciotto anni, mentre sua madre sembrerebbe troppo grande per essere sua madre, guida una macchina del 1963 e a metà degli anni Quaranta, a sette anni, è rimasta orfana di padre; facilmente quindi dovremmo pensare di trovarci negli anni Settanta, non più tardi. Peccato che in questo Cutolo sfugga: quanto è preciso nell’identificare il tempo nel lungo flash back che riassume la vita di Lara ragazza, tanto non ci aiuta a collocare Vimini nella sua epoca. E sempre una questione di gestione dei tempi verbali, stavolta quindi non sul piano narrativo ma strettamente morfosintattico (consecutio temporum), rende difficile ordinare cronologicamente le stesse vicende che hanno per protagonista Lara: tutto si svolge al passato remoto, anche dove, per una questione di prospettiva, di prima e di dopo, ci si aspetterebbe qualche trapassato.
Ad accompagnare la lettura c’è una colonna sonora, sette brani in cd rom composti da Fausto Mesolella, chitarrista, compositore, produttore e arrangiatore, lead guitar degli Avion Travel: si tratta di un’interessante commistione di linguaggi, peraltro già sperimentata dall’editrice Zona con una ricca collana di libri+cd rom musicali, che agevola l’immersione nell’atmosfera rarefatta del racconto di luoghi e sentimenti.
Questa di “Vimini” è la seconda esperienza di Donato Cutolo, autore eclettico, musicista e compositore, dopo “Carillon” (libro+cd, sempre edito da Zona nel 2009): la scrittura è semplice, piana, coinvolge e ti incuriosisce. Proprio la curiosità resta insoddisfatta dopo la lettura di questo romanzo breve (o racconto lungo? Annosa questione!): mentre leggi ti aspetti qualcosa di più compiuto, una storia più articolata, che non lasci la curiosità di sapere come proseguirà la vita di Vimini, dopo tutto il suo faticoso percorso di formazione. Che donna diventerà?  Cosa vorrà per sé? Per cosa combatterà?
La narrazione, all’inizio rilassata, acquista ritmo e velocità verso la fine, quando le vicende legate ad alcuni personaggi centrali si snodano freneticamente svelando una verità che la protagonista non avrebbe forse mai voluto/dovuto conoscere. Proprio per questo alla fine, una volta che sei entrato nella vita di Vimini, vorresti restarci ancora un po’ ed accompagnarla fuori da San Timo, cercando di sapere cosa farà della sua esistenza, anche guardandola da lontano.
 

mercoledì 7 agosto 2013

Ultima lettura: "Fenomenologia di YouPorn" di Stefano Sgambati


Fenomenologia di YouPorn

Autore   : Sgambati Stefano
Dati: 2012, 144 p., brossura
Editore: Miraggi Edizioni (collana Contrappunti)

Photo HelenTambo on Instagram

“Troppo YouPorn distorce gravemente il proprio immaginario sessuale.
È la lezione numero uno di questa avventura: ma troppo quanto?”
(p. 74)

Si deve partire dalla Prefazione di Enrico Remmert per capire lo spirito di questo libro, i motivi che lo hanno ispirato e il modo in cui Stefano Sgambati ha analizzato un fenomeno sicuramente di grande impatto sociale -la fruizione del porno via web-, come spettatori passivi e interagenti, indotti giocoforza dalla forza delle immagini. Si tratta di una prefazione che non vuole fare la Prefazione classicamente intesa, quella che rischia di essere troppo seria, scientifica, infarcita di citazioni dotte; non vuole essere neppure una Prefazione aneddotica, di quelle che partono da un fatterello per arrivare a spiegare i gusti dell’Autore e la filosofia sottesa al suo personale uso del canale porno più famoso del web. Alla fine questa Prefazione riesce ad essere tutto questo, ma anche una sincera dichiarazione di intenti, quella che ci fa capire da che tipo di osservazione si può partire –il comune senso della trasgressione da voyeur agli albori del porno o quasi- per analizzare uno dei fenomeni più eclatanti della rete.
Definire il genere di questo libro non è facilissimo, o meglio è facile ma ci costringe a rivedere il concetto di ‘saggio’: perché sì, questo è secondo me sicuramente un saggio, corredato da una bibliografia/sitografia aggiornata, dalla quale l’autore ha attinto ispirazione e informazioni utili al suo argomentare. Un saggio particolare però, che mette da parte i toni seriosi per accompagnare il lettore alla disamina del fenomeno YouPorn in modo divertente e divertito. D’altra parte cominciamo ad abituarci ad una saggistica più accessibile, di non esclusiva fruibilità scientifica.
Nelle tre parti in cui si sviluppa la trattazione, Sgambati analizza l’inizio del fenomeno voyeuristico, dal quale si è sviluppato un vero e proprio genere, quello del filmato amatoriale, erotico o proprio pornografico, girato tra mura casalinghe, inizialmente ad uso e consumo degli stessi protagonisti, ma presto diventato di culto tra gli estimatori. Dalla sconosciuta giovanissima Chiara da Perugia che si produceva in contorsionismi sul divano di casa con il fidanzatino, alla più famosa Belén Rodriguez, immortalata nell’intimità in un filmato girato dal modello argentino con cui era sentimentalmente impegnata, più preoccupato di non sfigurare nelle inquadrature che delle scene in sé, l’Autore passa a definire il passaggio dal film porno al filmato porno, fino a chiedersi se siamo tutti malati.
Quest’ultimo aspetto è quello che sinceramente più mi ha interessato dell’intero saggio di Sgambati, perché esamina, grazie anche alle lunghe conversazioni con lo psicoterapeuta dott. Emiliano Lambiase, i sintomi e i comportamenti tipici del fruitore ‘malato’ di pornografia online a tutti i livelli e di quello ‘sano’, quello che fruisce del sesso online con il distacco ovvio di chi ha una soddisfacente vita ‘fuori’ dalla rete; inoltra si addentra nelle problematiche legate alla percezione di sé in caso di dipendenza sessuale, ma prima che sessuale affettiva, che forse è la condizione più comune (ma faccio questa affermazione senza dati oggettivi, solo per una sensazione, perché probabilmente di dipendenza affettiva si parla più facilmente in pubblico). Un epilogo dal titolo “Gli uomini sognano pecorine elettroniche?” fa un ultimo bilancio dello stato dell’arte: chi eravamo, da dove siamo partiti, come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto, cosa ci riserva il futuro, specie se sappiamo già che c’è chi ha pensato che il mercato del porno online può essere fruttuoso per promuovere cause benefiche, attraverso il crowdfunding.
A chiudere il volume, gli ospiti speciali: Gaja Cenciarelli, Carolina Cutolo e Roberto Moroni in tre contributi che declinano il tema ‘pornografia on line’ secondo tre prospettive diverse e complementari, che perfezionano il quadro, già ormai abbastanza chiaro.
Ho trovato questo libro interessante e soprattutto ben scritto: il brio dell’Autore, il suo modo di porsi curioso, dalla parte dei lettori (come dire, siamo tutti sulla stessa barca, vediamo di capirci qualcosa, mi faccio delle domande con voi), lo stile spigliato e soprattutto non ipocrita (Sgambati chiama tutte le cose con il loro nome, senza inutili contorsionismi lessicali e lo fa mantenendo eleganza, proprio perché sincero), conquistano senza riserve.
L’argomento si poteva prestare a facilonerie, anche a fraintendimenti a partire dal titolo, che forse ha attirato qualche interesse pruriginoso, ma credo che l’abilità di Sgambati sia proprio nel fatto di non deludere nessuno dei lettori, sia quelli che si avvicinano pensando di soddisfare qualche curiosità, sia quelli che hanno interesse a conoscere l’evoluzione del fenomeno YouPorn, infine quelli che cercano una lettura che faccia ridere. Perché “Fenomenologia di YouPorn” fa riflettere, ma anche ridere. Molto.

domenica 4 agosto 2013

SapereSapori: la cialledda di Mammà


Ho una fotografia in bianco e nero impressa nella mente, la ricordo e provo a descriverla a memoria. Si vede il piazzale di Villa Elena ad Abbella, sotto si stende Fasano e sull’orizzonte c’è il mare, perché la giornata è limpida e si vede fino a lontanissimo; ci sono le sorelle di mia madre, zia Leo e zia Mara, pronta a uscire, la borsa di cuoio a tracolla, forse qualcuno la stava aspettando, e poi mia madre con Sergio che era piccolo in braccio, infine nonna Elena, anzi Mammà, come la chiamavano i figli e come anche noi nipoti avevamo imparato a identificarla.
Nonno Tonino doveva essere morto da poco, lasciandola vedova a cinquanta anni e con cinque figli ancora da sistemare, e Mammà non si tingeva più i capelli, cosa che riprese a fare più tardi, restituendoci la sua figura alta ed elegante, raffinata nel suo biondo cenere scuro.
In quella foto indossa una vestaglia nera a fiori grandi celesti e bianchi, trapuntata. Faceva freddo lassù ad Abbella, anche se era ancora agosto. Per noi che dovevamo tornare in Toscana dopo le lunghe vacanze salentine trascorse a casa dell’altra nonna, Abbella era un po’ la camera di decompressione, dove cominciavamo ad abituarci a temperature diverse, dopo la canicola della piena estate.
Nonna Elena sembrava essere passata lì per caso e fermata a margine del gruppo per entrare anche lei nella foto, gli immancabili giornali sotto il braccio. Vegliava la notte, mentre tutti dormivano, leggendo e scrivendo i suoi versi, e andava a dormire all’alba, così la sua mattina non cominciava prima delle 11. Di conseguenza gli orari in quella casa erano tutti sballati, il pranzo non era mai prima delle 14, spesso non si sapeva nemmeno quanti saremmo stati a tavola, è così nelle case dove ci sono molti figli e anche quelli che sono andati via poi tornano portandosi dietro consorti e prole.
Photo HelenTambo on Instagram
Associo quel piazzale ai tavolini di ferro rotondi e alla cialledda, che rappresentava la colazione della tarda mattinata. Non si buttava nulla, tanto meno il pane raffermo, anche per una specie di rispetto quasi religioso verso quel cibo divino, la base dell’alimentazione e della Fede: pane ammollato nell’acqua e strizzato, pomodori maturi a pezzetti, olio di oliva, origano e aglio. Il tutto in una capiente coppa da cui si mangiava con le mani, con l’acqua e l’olio che scolavano lungo la mano e l’avambraccio e allora dovevi avere qualcosa per asciugarti, uno strofinaccio, e intanto ti sporcavi. Ma tanto, bambini, stavamo in mutande e canottiera, quelle di cotone bianco a costine, non sentivamo l’aria frizzante della collina.
Intorno a quella coppa di cialledda poteva arrivare chiunque. Bastava che qualcuno scendesse la scala di pietra che dalla strada portava al piazzale ed era invitato a mangiare, tanto se finiva non ci voleva nulla a farne ancora, pane, pomodori, olio e origano non mancavano mai.
Un cibo semplice, come tutti quelli che si mangiavano a casa di Mammà: la pastasciutta con un sugo di pomodoro che a lei veniva arancione (una volta mi disse che ci metteva dentro un po’ di latte, mentre bolliva sul fuoco) ed era dolce e cremoso, le scaloppine con il prezzemolo e la cipolla, la mozzarella in carrozza. E la pasta al forno, il suo piatto forte, che faceva il giorno del suo onomastico, il 18 agosto, riunendoci tutti: una pasta ‘imbottita’ che cuoceva in un pentolone alto nel forno a legna, ziti spezzati che facevano la crosticina che poi tutti si contendevano, perché sapeva di legna resinosa bruciacchiata.
Ma è alla cialledda che rimando i miei ricordi bambini, con le ombre degli alberi sul piazzale e i piedini nudi sull’impiantito.