lunedì 29 luglio 2013

Ultima lettura: "Lettera a Léontine" di Raffaele Mastrolonardo


Lettera a Léontine

Autore   : Mastrolonardo Raffaele
Dati: 2010, 310 p., brossura
Editore: TEA (collana Narrativa Tea)

Photo HelenTambo on Instagram
Mi sono avvicinata a questo romanzo, su consiglio di un amico, con le migliori intenzioni e delle aspettative alte, dovute al successo che Raffaele Mastrolonardo sembra aver riscosso con questa sua prima opera, dapprima pubblicata da Besa (collana Costellazione) e successivamente da TEA. I giudizi dei lettori sono in gran parte positivi e questo mi ha fatto comprendere, a posteriori e sempre che ne avessi bisogno, quali sono i gusti del lettore medio italiano (che, sappiamo bene, è in scarsa compagnia).
Sgombriamo immediatamente il campo da qualsiasi equivoco: non siamo di fronte a una storia, ma alla cronaca di un ‘vorrei ma non posso’. Si tratta del racconto di una vicenda tanto comune quanto banale, tutto è abbastanza prevedibile: un tradimento vissuto, ma non fino in fondo, e comunque senza che la quotidianità dei protagonisti venga turbata più di tanto, secondo quelle che sono le modalità con le quali molte storie clandestine si consumano. Si capisce immediatamente quali sono le direttrici lungo le quali si muove la vicenda, già dal momento in cui conosciamo il protagonista Piergiorgio (Pigi!), che racconta i fatti in prima persona.
L’azione si svolge a Bari e nei bellissimi dintorni, ai giorni nostri. L’ambiente è quello un po’ snob della Bari bene, Circoli della Vela, Rotary, locali alla moda e della tradizione, bella gente, facoltosa. Lui è un medico affermato, docente universitario, ginecologo di fama cui si rivolgono coppie con problemi di infertilità: un personaggio che non riesce simpatico, per il quale fino in fondo non si prova nemmeno la compassione che forse l’epilogo della storia richiederebbe, presuntuoso, supponente e narcisista, uno poco abituato a sentirsi respingere dalle donne, uno che ci prova spesso e altrettanto spesso gli va bene, sposato con la solita moglie isterica e con una figlia –per la quale ovviamente stravede- che a quindici anni parla come matusalemme (o comunque sicuramente non come una qualunque quindicenne –“abbiamo selezionato un repertorio”-). Un uomo dall’erudizione finta, che sfoggia banalmente conoscenze comuni, rivestendole di una qualche autorevolezza che sinceramente si fatica a riconoscere.
Lei è Léontine (Lea!), anche lei medico, una donna insoddisfatta, inquieta come lo sono di natura molte donne; l’autore vorrebbe farla sembrare misteriosa ma non ci riesce, perché in realtà il lettore non ha nessuna curiosità verso il passato della donna, che si immagina assolutamente comune a quello di molte single sentimentalmente disilluse e già provate da storie sbagliate.
L’incontro è casuale, tra due personaggi statici e poco attraenti sul piano emozionale: lui è prevedibile, rassicurato da un matrimonio stanco, che tuttavia non ha alcuna intenzione di risolvere con una separazione, nemmeno a fronte di quello che vorrebbe passare come qualcosa di fatale, lei –bella ma non troppo- sembra transitare lieve su cose e persone, ma risulta noiosa e scontata. Consumano un tradimento più desiderato che realizzato, in cui gli unici due amplessi a cui i due si abbandonano sono descritti in poche ripetitive parole, che terminano immancabilmente con un “L’amore è fatto di testa e noi, la testa, l’avevamo persa, tutti e due” (che poi, chi lo dice che l’amore sia fatto di testa? Anzi!). Non si sa se è una scelta stilistica, un artificio retorico del tipo della ripresa anaforica, oppure se si tratta di una distrazione dell’autore (e di chi avrebbe dovuto fare l’editing, ma non lo ha fatto o lo ha fatto male).
Sfugge anche il motivo per cui insistentemente Mastrolonardo usa l’espressione ‘attrazione molecolare’: la prima volta fa simpatia, la seconda si capisce che è un vezzo, la terza, la quarta e forse anche la quinta, annoia. E giacché si parla di stile, mi sembra indizio di sciatteria sintattica -e non un seducente artificio-, il passaggio dalla terza persona alla seconda, riferita a Léontine, spesso all’interno dello stesso periodo. I dialoghi sono scontati: spesso ad una domanda di Lea, Pigi risponde con un banale e fintamente simpatico “c’è una domanda di riserva?”, espressione passata di moda da chissà quanto tempo, non fa più nemmeno sorridere (si poteva proporre come alternativa “qual è la risposta giusta?”, così, tanto per variare un po’).
Insomma, così come la pubblicità deve farti desiderare qualcosa, rendendola attraente e appetibile, così un romanzo deve coinvolgerti al punto tale da desiderare di viverne la storia, o almeno partecipare da vicino alle vicende narrate, sentirne gli odori, i sapori, i rumori. Invece questa “Lettera a Léontine” ti travolge per noia e finisci di leggerlo solo per vedere fino a che punto un romanzo insulso può arrivare ad esserlo.
Tanto perché questa non appaia come una stroncatura tout court (un po’ lo è!), vorrei segnalare ciò che salvo di questo libro: la città di Bari e certe sue atmosfere nottune, specie nelle descrizioni della città vecchia, poi Altamura e ancora l’omaggio al pittore barlettano De Nittis, di cui ricorre il centenario e del quale la vedova Léontine (il titolo del libro è un riconoscimento anche a lei) ha donato nel 1913 le opere alla città natale, che oggi lo celebra con una mostra presso la Pinacoteca di Barletta fino al 7 gennaio 2014.
Inutile dire che le mie aspettative iniziali sono andate deluse e che dopo aver chiuso il libro sull’ultima pagina ho pensato che sia necessario tornare a leggere qualche buon classico, tornare agli Scrittori con la esse maiuscola.

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